Sulle tracce psicologiche del serial-killer dentro e fuori del cinema

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 1, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2005 – Estratto

Questa storia per noi psicoanalisti ha origini lontane. Non certo soltanto negli anni ’70 quando tre ragazzi della cosiddetta “Roma bene” perpetrarono le follie assassine del Circeo, ai danni di due povere ragazze, una sola delle quali sopravvissuta miracolosamente. Erano già i tempi in cui impazzava sempre a Roma una banda definita dell’Arancia Meccanica che compiva furti e violenze carnali tenendo in ostaggio coppie o famiglie minacciandole poi con la promessa di ritorsioni se avessero parlato.

In quegli stessi anni veniva barbaramente massacrato il poeta Pier Paolo Pasolini. Il suo ultimo film, un vero e proprio testamento artistico-psicologico, coniuga, illustrandoli, il piacere del male e la pazzia del potere. Salò-Sade, le 120 giornate di Sodoma è un film disgustoso come i campi di sterminio dei nazisti. Non è bello, niente affatto godibile, è insopportabile, ma è vero, come vere sono le immagini dei corpi ammassati e macerati di scheletrici ebrei annientati prima ancora di essere eliminati fisicamente – immortalati, è il caso di dirlo, da vecchi preziosi videofilmati che fanno il giro del mondo.

I giornali continueranno a sbattere il mostro in prima pagina. I magistrati, gli avvocati, i preti, i direttori degli istituti di pena, i reporters, i mass-mediologi continueranno ad esercitare il loro mestiere con tutte le difficoltà umane, gli errori, le carenze, i limiti della nostra specie.

Le diagnosi possono essere inesatte, il rischio delle condanne carcerarie potrà sempre oscillare tra Scilla e Cariddi, tra la severità della pena come spauracchio per eventuali proseliti e la pietà morbida che riposa nell’idea del recupero.

Sì, a nome degli iniziatori della psicoanalisi che hanno capito di dover combattere il proprio irrazionale malato in prima battuta e quindi quello degli altri, fino a noi eredi moderni della psicoterapia (a cui hanno passato il testimone ben quattro generazioni di studiosi dell’inconscio) dobbiamo urlare, ripetere il lamento di Cassandra. L’ignoranza da parte del mondo dell’utilità curativa del lavoro psicologico è purtroppo il disastro peggiore della società dei consumi, che alimenta il desiderio di avere anziché di essere, che sostiene l’affanno per il potere a danno della supremazia dell’amore.

È una storia antica, vecchia di secoli, ma che si ripete ogni volta. In questa triste occasione ritornano gli identici totem: il controllo sulle persone, la tirannide assoluta sui corpi e sul pensiero, uno scettro sanguinoso in grado di controllare la vita e la morte, il respiro e le lacrime di chi viene fatto prigioniero. Parole-simbolo come denaro, orologi preziosi, auto lussuose, sono solo maschere per nascondere personalità inesistenti. Il mostro diventa un burattino creato dalle alte scuole di specializzazione come l’imperialismo, il consumismo, il colonialismo, il razzismo, l’egoismo.

Naturalmente non vogliamo, non possiamo divagare, ma se queste vi sembrano storia di un altro mondo procuratevi per favore una copia del film Cose di questo mondo per apprendere il valore della vita in Afghanistan di questi tempi e come la fuga per la vita di chi non vuole marcire nella povertà e nell’ignoranza spesso si trasforma in un incontro con la morte.

Lo psicoanalista, si sa, quando piove non può che agire come tutti gli altri: aprire l’ombrello, o bagnarsi se non ce l’ha. Il che significa piangere e disperarsi per eventi tragici come la distruzione delle Torri Gemelle con tutti i nostri simili dentro o morire con loro se fossimo capitati l’11 settembre 2001 lì sopra. Soffrire per i bombardamenti in Afghanistan o restare vittima delle bombe se ci fossimo trovati da quelle parti.

Il misero aiuto, il sincero impegno che possiamo dare è prima o dopo, mai durante.

“Durante” si svolge soltanto l’opera dei santi, dei martiri, dei vigili del fuoco, dei soccorritori, dei medici dentro e senza frontiere, della Croce Rossa, di Amnesty International.

Per quanto riguarda il prima, la musica è sempre la stessa: bisogna occuparsi con una strategia capillare di curare ogni singolo individuo, educandolo a cercare la pace dentro di sé prima che fuori; e a combattere il male dentro di sé anziché puntare il dito contro la cattiveria altrui. Questo non significa spedire tutti dallo psicoanalista, ma disporre la presenza dello psicoanalista nelle scuole prevalentemente, e quindi nelle fabbriche, negli uffici; organizzare un esercito pacifico di civilizzazione della psiche per arginare la violenza interna. Freud ha descritto questa opera come una bonifica dell’acquitrino interiore (lo Zuiderzee interiore) esistente in ogni individuo. Abbiamo scritto individuo proprio perché Jung ha definito il compito finale di ogni coscienza: l’acquisizione di un’armonia tra la dualità bene-male insita in ciascuno di noi.

Individuo, in-dividuus, significa infatti essere non diviso, non scisso, non schizofrenico.

Il raggiungimento dell’individuazione si realizza in un traguardo: la scoperta dell’identità.