Pensieri su Aldo Carotenuto
Non avevo mai visto una casa con così tanti libri. Sembrava un appartamento che potesse fare a meno di muri come se i libri avessero sostituito i mattoni. Libri colorati, vissuti, sofferti, etichettati, di ogni misura e dimensione immaginabili; e ancora libri sui tavoli, sulle sedie, sulle scrivanie. Lui sedeva sulla sua poltrona, a terra si animavano libri, giornali e riviste come fedeli cani e gatti domestici. Si alzò, mi strinse la mano e si mise a sfogliare il giornale che aveva davanti. Dopo qualche minuto che lo guardavo allibito, un po’ spavaldo per la nuova avventura e un po’ intimidito dalla sua nonchalance, lo vidi alzare gli occhi e lanciarmi addosso queste parole con uno sguardo magnetico: “Bene dottore, quale è il diavolo che la possiede?”. Farfugliai un po’ di sintomi e sentimenti, di paure e di angosce, liberai spezzoni di pellicola di vita vissuta e mi sentii sicuro di essere ascoltato nonostante continuasse a girare le pagine del giornale e poi aprisse un libro e poi scrivesse qualcosa che certo non mi riguardava. Mi disse soltanto “allora ci vediamo la prossima settimana. I nostri incontri avranno questa durata, lei è obbligato ad essere puntuale, pena la perdita della sua ora ed al pagamento della stessa sia che arrivi tardi, sia che non venga senza avvisarmi per tempo. Non parli con nessuno di quel che ci diciamo. Faccia attenzione ai sogni”. E qui ebbi il tempo di biascicare che non sognavo spesso. “Vedrà che lo farà” – disse con sicurezza da indovino. Dovevo poi imparare che nel momento in cui si innesca la reazione alchemica psicoanalista-analizzando è come se si aprisse il tappo del serbatoio dei sogni. Questa è un’esperienza magica che accade quasi sempre se il contatto che si è creato è destinato a durare. Fin da allora mi abituò che con lui non si poteva perdere tempo. Capii più tardi che una delle sue preoccupazioni principali era di tutelarsi dai ladri di tempo, del suo tempo prezioso, del tempo prezioso che noi tutti abbiamo a disposizione.
(Tratto da Amedeo Caruso, Frammenti di un insegnamento dell’inconscio sconosciuto: Aldo Carotenuto, un maestro paziente, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006)
Se talune modalità di Carotenuto lasciano ipotizzare tratti di onnipotenza, c’è però da ricordare che egli si è spesso soffermato sui rischi connessi. Così come il tema dell’inflazione psichica – definita come una fase molto insidiosa – è stato spesso trattato nei suoi scritti: “….c’è il rischio di impossessarci di qualcosa che non ci appartiene. Si indossano senza troppa consapevolezza le effigi della divinità, dimenticando che qualità dell’uomo è proprio la sua finitezza, il suo essere mortale. …. solo nella consapevolezza della propria finitudine è implicito il desiderio di una approssimazione alla conoscenza, che come tale è tensione e non raggiungimento. Laddove un’idea si cristallizza, attingendo a una sorta di paradisiaca onnipotenza, siamo in presenza di un dogma, il vero inferno della conoscenza.” Carotenuto non è mai stato dogmatico… aveva una capacità di ironia e di umorismo che non consentiva la caduta nell’inferno del dogma. Carotenuto soleva dire che un analista non può dirsi junghiano o freudiano…L’analista può dire di aver appreso una modalità junghiana o freudiana…In sintesi l’analista è se stesso, con le carenze ed i punti di forza che lo caratterizzano e che progressivamente si integrano nelle opinioni, nelle convinzioni, nell’esperienza fatta sul campo. Carotenuto soleva anche dire che un allievo diviene autonomo quando è capace di differenziarsi dal maestro, e può così trovare il proprio modo di divenire se stesso. Il lascito che Carotenuto mi ha conferito è il rispetto della soggettività, il coraggio della asserzione anche impopolare, la lucidità nel sapere “dove si sta”.
(Tratto da Simonetta Putti, La casa e la scatola, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006)
Uno degli assunti teorici che Carotenuto metteva al primo posto nella sua pratica analitica era che non esistono assunti teorici e che le molteplicità di tecniche che da essi derivano dipendono unicamente dal tipo di personalità dell’analista, teorie e tecniche servono per dare sicurezza al terapeuta stesso che ha bisogno di un punto di riferimento, ma nella pratica clinica, nella relazione col paziente, non hanno nessun valore terapeutico. Ogni analista ha la sua tecnica che a sua volta varia a seconda del paziente con cui lavora, quello che invece è veramente importante, ma che non sempre avviene, è il fatto che dovrebbe mettere se stesso in gioco secondo il detto alchemico Ars requirit totum hominem.
Le mie prime sedute duravano circa cinquanta minuti, ma più andavo avanti con la terapia e più i minuti variavano, alcuni analisti giustificano il tempo più o meno lungo della seduta come una “tecnica” per frustrare o gratificare il paziente, Carotenuto non era tra questi e con molta sincerità affermava: “…bisognerebbe riconoscere lealmente che in realtà il tempo delimitato è utile solo all’analista per l’organizzazione della sua attività e non ha niente a che vedere con le esigenze terapeutiche. Ed allora torniamo all’assunto di partenza: frustrare un paziente sul problema del tempo non ha niente a che fare con la tecnica analitica. Spesso la frustrazione è funzionale all’analista per difendersi dal coinvolgimento emotivo con il paziente”.
(Tratto da Giorgio Mosconi, Rispecchiandosi, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006)
Il dramma al quale Carotenuto cerca di rispondere “traducendo dal silenzio” la propria vastissima opera è il “dramma d’Amore” che appartiene ad ogni essere umano, il dramma “dell’incompletezza”, del tradimento della propria totalità e della struggente nostalgia di un felice rapporto “d’Amore totale”. È questo dramma che lo ha portato a “sostare nel luogo dell’assenza”, a dialogare con la “voce del silenzio” che sta alla base della sua personale opera di scrittore, così come il suo amore per i destini dei singoli individui che non si adattano alle forme sterili e sempre più anguste richieste della collettività e sono costretti ad addentrarsi nel mondo interiore, nel tentativo di sfiorare per un solo attimo quella forza misteriosa e “viva” che pulsa dentro di sé.
(Tratto da Virginia Salles, La voce del silenzio, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006)
Le lezioni scorrevano sul filo dell’interattività reciproca, l’attenzione dei presenti era continuamente sollecitata. Quando il pensiero si immergeva nelle profondità più buie, nell’aula non si percepiva nemmeno un respiro , ma subito dopo, con un improvviso cambio di ritmo, arrivava la provocazione, la sollecitazione da parte del docente rivolta ad un pubblico pronto a raccoglierla. Ho utilizzato volutamente il termine ‘pubblico’ perché effettivamente ho sentito la cattedra come un piccolo palcoscenico, sul quale si muoveva, con passi lenti e ponderati, un docente istrionico e geniale, dotato di fascino e di profondo carisma. Diciamo che le sue, più che lezioni, erano esperienze da vivere e da condividere, divertenti e stimolanti che avevano anche un seguito serale al Caffè Notegen dove, una volta al mese, Carotenuto riuniva il gruppo del suo Centro Studi, per un approfondimento dei temi trattati e incontri con esponenti che gravitavano nel mondo dello junghismo romano. Erano incontri aperti a tutti, studenti e non, all’insegna della libertà di espressione e della creatività.
(Tratto da Erika Czako, THE THINK FACTORY (La fabbrica del pensiero), in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006)
La sua psicologia è panpsichista ma non speculativa. Non ambisce a creare meta-teorie. Anzi la sua meta-teoria è l’assenza di leggi universali. La sua fede nell’inconscio si limita alla possibile documentazione della dimensione psichica individuale, ferita-feritoia che relativizza ogni pretesa di dogmatismo. La psiche è ciò che rende sincera ma allo stesso tempo parziale ciascuna affermazione di verità. La psicologia di Carotenuto quindi non è più junghiana per quanto riguarda la ricerca delle costanti universali. Egli, laureato in filosofia, ha perso la fiducia kantiana negli archetipi, facultas praeformandi, e ha circoscritto l’azione della psiche ad una ermeneutica. La psiche è diventata spiegazione, traduzione, riconduzione degli elementi esterni alle verità individuali del singolo. In una parola la psiche di Carotenuto ha piegato il mondo a se stessa. Da religiosa la psiche è diventata narcisistica nel senso più ampio, sano, kohutiano del termine. La sua psicologia dinamica si è identificata con la psicologia della personalità. E allo stesso tempo si è privata dell’oggettività dei riferimenti esterni meta-individuali.
(Tratto da Antonio Dorella, Inconscio, creatività e tradimento. La psicologia di Carotenuto e il relativismo dei valori, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006)
Un altro probante esempio di equazione gnostica della psicoterapia sono le tesi avanzate da Hillman e Carotenuto sul tradimento, tesi che rinvengono le loro lontane ascendenze nel sacramento, cioè mistero, celebrato dagli gnostici Cainiti (Giudaiti). In un certo senso la psicoterapia è una forma eonica di tradimento. In relazione a quanto sostenuto a più riprese da Carotenuto, e sulla scia della concezione ferencziana del gruppo psicoterapeuta-pazienti come banda di gangsters, si potrebbe sostenere che la diade analitica, diade creativa, generante, moltiplicante per definizione, si costituisca come tradimento dei valori collettivi (ilici, si direbbe con terminologia gnostica), cioè come loro consegna, trasposizione, riconversione sub specie individuale.
Lo psicoterapeuta, come anche ritiene Carotenuto, ha i pazienti che si merita. Il che andrebbe ulteriormente considerato dal punto di vista della sincronicità. E allora accade che, con uno psicoterapeuta prossimo a vivere le proprie ossessioni, fobie, depressioni, siano pronti a entrare in analisi paziente ossessivi, fobici, depressi. Un monito, questo della sincronicità, per lo psicoterapeuta. Se non attraversa i propri fantasmi sino alla fine, come può pensare che il paziente attraversi i propri? Carotenuto la chiama la psicopatologia dell’analista. Certo, appunto di questo si tratta. La mia psicopatologia alimenta la sincronicità. Mi prepara, per così dire, all’incontro. Il setting è un potente attivatore di sincronicità.
(Tratto da Giorgio Antonelli, Cosa è uno psicoterapeuta, in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006)