in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 14, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2012 – Estratto
La letteratura dell’ottocento ha lasciato indelebili ritratti di figure femminili in cui si coniuga il binomio amore e morte in senso reale e simbolico: tentando una elencazione non certo esaustiva, nella letteratura russa balzano in primo piano le figure di Anna Karenina e di Emma nella Sonata a Kreutzer, descritte da Tolstoj. Nella letteratura francese, le figure di madame Bovary di Flaubert, di Eugenie Grandet di Balzac, e di Christiane, in Mont-Oriol di Guy de Maupassant.
Per la necessità di rispettare gli spazi editoriali, circoscrivo il vastissimo possibile campo di trattazione e mi limito all’esame di un romanzo della letteratura francese della seconda metà dell’ottocento, in realtà non conosciutissimo: La bestia umana.
In questa fase storica, epoca che non aveva ancora visto la nascita della psicoanalisi ricorreva frequentemente negli scrittori francesi (in genere esponenti del realismo e del naturalismo) il tema dell’uccisione della donna. Più tardi con S. Freud e C. G. Jung il tema sarà ampiamente visitato e approfondito soprattutto in chiave psicologica e simbolica.
Uno dei libri secondo me più rappresentativi al riguardo è La bestia umana di E. Zola, romanzo dall’architettura complessa. La trama, che nella sintesi potrà anche apparire quasi un feuilleton della peggior specie, configura invece, nel suo testo integrale, un intreccio sorprendente e affascinante. Nel romanzo infatti l’autore riesce – in una costruzione narrativa incalzante – ad approfondire la psicologia e le più recondite e contraddittorie sfumature caratteriali dei personaggi, mentre la successione degli avvenimenti appare ben scandita e avvincente. Per dare un esempio al lettore delle suggestioni derivanti, il dipanarsi dei fatti appare accompagnato e quasi ritmato dal rumore prodotto dalle ruote di una locomotiva nello sferragliare sulle traversine.
La bestia umana è ambientato a Parigi e in alcune città della sua provincia alla fine del Secondo Impero, ed è dedicato alla ferrovia inquietante macchina-femmina (chimera che riunisce in sé la donna e la bestia) dal ventre incandescente e vorace, grande avvenimento economico e simbolico di quegli anni così entusiasticamente fiduciosi delle magnifiche sorti e progressive.
La protagonista–macchina è, appunto, la locomotiva (che ha un nome di donna: Lison), mentre il nome della donna reale è Severine; giovane orfana accolta ed educata nella famiglia di un alto borghese, il giudice Grandmorin, che la stupra, lei sedicenne.
L’intreccio della storia prende corpo quando, anni dopo, ella confessa al marito, Roubaud, la violenza subita e nel tempo continuata in una relazione, che lei autonomamente ha comunque deciso di troncare; il marito, rude e violento ama possessivamente la moglie, e dopo la rivelazione del tradimento, sconvolto, vede la vendetta come unica possibilità di sopportarne il peso. Programma così l’uccisione del magistrato, oramai anziano, che peraltro lo ha aiutato nella carriera interessandosi per farlo nominare vice capostazione.
Roubaud, pretende la complicità della moglie nell’omicidio sia perché la ritiene in ogni caso responsabile, sia per mantenerla legata a sé nella condivisione dell’azione scellerata. Roubaud mette a punto un piano e compie il delitto sul treno nel tragitto da Parigi a Le Havre. Fanno da contorno e si incastrano con la storia principale altre vicende collaterali, nel cui ambito si assiste ad altri tragici fatti, come l’assassinio di una donna da parte del marito avido del suo denaro, la morte di un’altra giovanissima, Louisette, anch’essa vittima del giudice e il tentativo di uccisione di Severine da parte di un’altra donna, Flore, che, gelosa della protagonista, non avendo raggiunto il suo scopo, si suicida.
Insomma una vera e continuata orgia di morti e uccisioni di donne.
Abstract
L’autore dell’articolo, dopo aver ricordato casi antichi e recenti di uccisioni di donne, prende in esame uno dei libri della letteratura francese dell’ottocento più rappresentativi al riguardo: La Bestia umana di E. Zola. In un periodo storico di intensa fede nel progresso, una delle cui manifestazioni è la ferrovia, Zola racconta la storia dell’uccisione di due entità femminili: la locomotiva, macchina-femmina che riunisce in sé la donna e la bestia e Severine, la giovane donna protagonista del romanzo. Entrambe accomunate nell’unico destino. In una trama complessa dal ritmo incalzante cadenzato dal rumore della macchina sulla strada ferrata, si consuma l’uccisione di Severine da parte del suo amante, Jacques, che non sa resistere al suo perverso ancestrale impulso di assassinare la donna che ama. La metaforica uccisione della locomotiva è provocata da un’altra donna – Flore – che, amando non riamata Jacques, fa deragliare il treno per uccidere la rivale e l’amante che non può essere suo, nel folle ma umano pensiero: o mio o di nessuna. Quindi, non essendo riuscita nel suo intento, si suicida. In anni in cui la psicoanalisi non è ufficialmente ancora nata, magistrale è la descrizione di Zola dei più reconditi contradditori impulsi dell’animo umano sull’eterno tema di amore e morte.