in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 14, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2012
Nel 2008 il CSPL decideva di dedicare il convegno annuale al fenomeno della c.f., in progressiva espansione anche in Italia.
Allora mi soffermavo su alcuni aspetti che riprenderò ora, cercando di meglio valutarli anche alla luce del tempo trascorso; non mi soffermerò invece sulle condizioni storiche e sociali che videro la nascita dell c.f. in Germania negli anni ottanta ad opera di G. Achenbach, e successivamente di Peter Raabe , né sull’approdo in Italia al passaggio del Millennio ad opera di Neri Pollastri e neanche sui contesti filosofici che ne favorirono la diffusione: questi dati sono reperibili nel n. 4 della Rivista.
Avanzo soltanto una notazione ed una domanda: allora quei contesti – caduti i valori forti di riferimento – vedevano in scena il Pensiero cosiddetto debole e la c.f. si poneva anche come risposta al crescente disagio esistenziale; ora che il Pensiero debole si confronta con il New Realism … cosa possiamo aspettarci …?
Riprenderò alcune analogie e differenze che caratterizzano la consulenza filosofica e la psicologia analitica e che, sin dal 2008, aprivano uno scenario ampio, fatto di interconnessioni possibili ed anche di collaborazioni produttive da attuarsi nella chiarezza delle rispettive identità, dei metodi e degli scopi. Metterò in luce anche alcune criticità.
Un circoscritto ambito di discorso
Il titolo – Filosofia e Funzione trascendente – è spunto organico per queste note e preciso l’ambito di discorso in cui mi muoverò: il termine filosofia lo intendo come filosofia oggi, concretamente calata sulla terra, nella piazza, consulenza filosofica.
La funzione trascendente è una espressione utilizzata da C. G. Jung in diversi momenti ed in diverse accezioni di significato che comunque sempre rinviano al processo di individuazione, e quindi al portato specifico della psicologia junghiana.
Userò le abbreviazioni:
c. f. consulenza filosofica;
f. t. funzione trascendente;
p. a. psicologia analitica.
Parto dunque dalla f.t., ricordando che lo stesso Jung si era adoperato ad indicarne lo specifico senso. In una nota allo scritto Il metodo sintetico o costruttivo, evidenzia infatti che il concetto di f.t. esiste anche nell’alta matematica, a indicare la funzione di numeri reali e immaginari.
Così si esprime Jung:
Fare i conti con l’inconscio comporta un processo o, a seconda dei casi, anche una sofferenza o un lavoro, cui è stato dato il nome di funzione trascendente, trattandosi di una funzione che su fonda su dati reali e immaginari o razionali e irrazionali, e che getta quindi un ponte sul solco che separa la coscienza dall’inconscio.
Nella psicologia analitica, l’espressione allude quindi al fare i conti con l’inconscio, ad un processo, ed anche alla sofferenza ed al lavoro connessi, che consente una messa in comunicazione.
Via via scorrendo i testi vediamo che f.t. può anche alludere ad un confronto, al percorso che ha per meta la realizzazione della personalità totale, alla modificazione stessa della personalità, ad una capacità e destino individuale… .
In Gli archetipi dell’Inconscio collettivo:
Questo confronto permette di superare la linea di confine finora esistente, e perciò l’ho definita col termine di funzione trascendente.
In merito al problema dei contrari, ed alla opportunità di trattarli non sempre ma solo quando si giunge alla svolta della vita, così Jung si esprime:
L’elaborazione cosciente di questi dati dà luogo alla funzione trascendente, formazione concettuale procurata dagli archetipi che unifica i contrari.
Ed ancora a proposito della f.t. come processo:
Il processo ha per senso e meta la realizzazione della personalità originariamente contenuta nel germe embrionale in tutti i suoi aspetti. È l’attuazione ed il dispiegarsi dell’ originaria totalità potenziale.
Ne La tecnica della differenziazione tra l’Io e le figure dell’Inconscio, Jung così si esprime sul mutamento della personalità
A questa modificazione della personalità che viene raggiunta attraverso il confronto con l’inconscio, ho dato il nome di funzione trascendente.
Troviamo poi un richiamo a Silberer (Probleme der Mystik und ihrer Symbolik,Vienna e Lipsia, 1914; e anche Jung, Psicologia e Alchimia, 1914.
Nel medesimo testo, nell’evidenziare come l’evoluzione non attenga a tutti, ma vi sono casi in cui questa avviene per intima necessità, si sottolinea che la via della funzione trascendente è un destino individuale.
In queste rapide citazioni si evidenzia il rapporto Coscienza – Inconscio che la f.t. consente di connettere, consentendo l’ascolto e l’elaborazione dei contenuti profondi in vista di una unificazione dei contrari, che porta alla trasformazione della personalità.
Quindi l’Inconscio è sempre presente nella scena.
Questa pregnante presenza sembra dirci che la funzione trascendente non è via praticabile per la consulenza filosofica: infatti la sfera d’azione della c.f. è la coscienza.
Possiamo ipotizzare una funzione trascendente che si situi solo nell’ambito della Coscienza?
Forse, se intendiamo la f.t. in senso ampio e lato, come capacità di ascolto, di elaborazione di contenuti contrastanti e/o contraddittori in vista del superamento del conflitto cosciente.
Allora la f. t., in questo senso circoscritto, mi appare ora contenuta e rappresentata anche nella capacità di mediazione, e nella possibilità di pervenire all’ET ET, in luogo dell’AUT AUT.
Questo può essere un senso della f.t. praticabile nella e dalla consulenza filosofica: cercare non necessariamente sempre la pacificazione e abolizione dei contrasti, ma anche l’assunzione vivificante della loro contrapposizione, accettandone la com-presenza, in vista di successive mediazioni possibili.
In questo senso la f.t. appare come processo che il c.f. può attivare nel campo della coscienza del cliente, capacità e processo che – se le cose andranno bene – il cliente porterà avanti per la durata della vita.
In analogia, quindi, al processo di individuazione che caratterizza la psicologia analitica e che non è meta ma processo continuo e interminabile, in cui l’Io si sposta progressivamente verso il Sé inconscio, così la f. t. intesa come la capacità di ascolto/accettazione/mediazione può porsi come processo in-terminabile di cui il senso radicale è il suo stesso procedere. Metodo di vita.
Questa può essere una forma di liberazione del pensiero che presuppone il superamento di stereotipi, di pregiudizi, pseudo ancoraggi che possono essere lasciati allorquando la persona inizia a concepire la possibilità di essere autonoma e non più soltanto etero diretta, stabilendo quindi la propria rotta nella navigazione della vita.
Analogie, differenze, criticità
Ho evidenziato man mano quali siano i rispettivi territori di competenza per la p.a. e per la c.f. perché credo che proprio dalla consapevolezza dei limiti e da una chiara visione delle differenze e dalle analogie, possa stabilirsi una connessione produttiva e non confusiva.
Ricordando, qui, che la meta – per la c.f. – è la liberazione del Pensiero, l’analogia più rilevante mi sembra il tendere, per entrambe le discipline, alla messa a punto di un Individuo affrancato dalle strettoie del pensiero collettivo, e pertanto adeguatamente libero nel Pensiero.
Altra evidente analogia è l’utilizzo dello strumento dialogico.
A fronte di quanto Neri Pollastri scrive: la prima cosa che può essere detta della consulenza filosofica è che essa è essenzialmente un dialogo.. il che vuol dire che i partecipanti, assieme e cooperativamente, producono un logos, un discorso e che essa fondamentalmente è un confronto dialogico tra due esseri di pari dignità per assonanza ricordo che Jung sosteneva il metodo dialettico , vale a dire con le parole di Mario Trevi un disarmato esporsi della personalità del terapeuta nel confronto con il paziente, una rinuncia ad ogni difesa dottrinale da parte dell’analista…
Ed è appena il caso di ricordare l’opinione di Mario Trevi, sulla capacità dialogica come unico universale nell’uomo.
Ancora per Neri Pollastri, la consulenza filosofica non può curare e non è terapia.
L’obiettivo della consulenza filosofica è dunque il filosofare, e questo significa molte cose: principalmente, esaminare la vita del consultante, sottoporla a critica; identificarne i presupposti di significato e di valore; cercarne la coerenza e/o le contraddizioni; comprenderne le emozioni ed i valori soggiacenti; studiare i molteplici sensi delle problematiche concettuali emerse; vagliare le possibili soluzioni al’interno di comprensioni del mondo diverse; pensare gli eventi della propria vita entro una visione del mondo ampliata; mettere via via alla prova le nuove prospettive emergenti nella ricerca progressiva e sistematizzante di una nuova visione del mondo.
Per Jung, il processo di individuazione (inteso come meta tendenziale verso la quale tendere, pur sapendo che non potrà essere pienamente raggiunta) consiste in estrema sintesi nel rendere l’Uomo In-dividuo, affrancandolo dalle strettoie e dai condizionamenti personali (consci e inconsci), nonché dalle pressioni eccessive di una dimensione sociale, che Jung denomina Coscienza e Inconscio collettivi, consentendogli di diventare quello che è realmente.
La differenza fondamentale risiede, come più volte detto, nel situarsi dia-logicamente a livello della Coscienza (c.f.) o nell’offrire ascolto e interpretazione alla Coscienza e all’ Inconscio (p.a.).
Altra differenza facilmente coglibile riguarda la durata del percorso: a fronte di una psicoterapia medio-lunga, la brevità stimata della consultazione in ambito di consulenza filosofica. Da questa relativa brevità discendono, almeno ad un primo esame, alcuni vantaggi per il cliente: limitato investimento di energia-tempo-denaro, minor rischio di dipendenza, minore esposizione al perdurante stigma sociale che ancora e paradossalmente esiste nei confronti di chi intraprende una cura.
Qui emergono, però, alcuni punti critici in quanto l’accennata brevità comporta l’insorgere di qualche perplessità, formulabile in poche domande:
possono pochi incontri conseguire l’obiettivo di liberare il pensiero?
è possibile in un arco volutamente circoscritto di tempo suscitare e promuovere nel consultante uno sguardo filosofico su se stesso e sul Mondo?
soprattutto è conseguibile – nei limiti temporali di cui sopra – l’obiettivo di rendere il consultante filosofo?
Queste domande mi conducono ad ipotizzare un rischio: che negli incontri di consultazione filosofica si possa configurare un dialogo eminentemente intellettuale e razionale, con le possibile conseguenze di una ipertrofia del pensiero stesso, quindi anche di una intellettualizzazione difensiva, e di uno sviluppo unilaterale della coscienza .
Ricordando, con Jung, l’importanza di una sinergia/collaborazione delle quattro funzioni (pensiero, sentimento, intuizione, sensazione), un lavoro svolto prevalentemente sul Pensiero mi pone dubbi sullo sviluppo/promozione di una personalità armoniosa, mentre potrebbe – come estrema conseguenza – portare ad una dissociazione nevrotica.
Ed ancora: può il c.f. comprendere adeguatamente quali siano i casi trattabili e distinguerli da quelli che invece necessitano di cura?
È abbastanza ferrato il c.f. per individuare in sé e nel cliente la presenza e l’azione di quei meccanismi di difesa che talora celano, mistificano, rimuovono parti di realtà?
Potrebbe allora il c.f. giovarsi di una analisi personale prima di addentrarsi nel concreto operare?
Un ponte transitabile
Stanti queste premesse, e invertendo l’opinione di Marinoff, vedo nella consulenza filosofica anche un ponte accessibile e transitabile tra le sponde del disturbo sottovalutato e/o negato e la possibilità di una adeguata risoluzione terapeutica.
In termini semplici, la consulenza filosofica proprio per il suo porsi come non cura e non terapia potrà essere intrapresa senza eccessive resistenze da quei soggetti che, temendo lo stigma sociale ritengono la psicoterapia cosa da evitarsi e da non consigliare.
Se le cose vanno bene, il consulente filosofico proprio con il liberare il pensiero del consultante, potrà renderlo atto a recepire (e a non più misconoscere/negare) la necessità – allorquando ne ricorrano le circostanze – della cura.
Una prospettiva di integrazione
Auspicando quindi un operare integrato e interconnesso tra c.f. e p.a. vedo vantaggi per il singolo ma anche per la collettività; in sintesi un onesto e radicale filosofare che liberi il Pensiero potrebbe avere esiti oltremodo positivi nel far evolvere tanto la coscienza individuale quanto la coscienza collettiva, promuovendo una nuova etica della responsabilità personale e conseguentemente anche una nuova etica della relazione fra individui.
Una etica che si fondi su chiarezza e responsabilità; che sappia vedere e valutare i pro e i contro del proprio operare, ed assumersi il rischio della verità seppur relativa che ad ognuno è dato di scorgere.
Nella prospettiva auspicata, la liberazione del Pensiero si porrebbe come propedeutica ad uno scatto evolutivo nella direzione della responsabilità.