L’esilio delle immagini

in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, 47, Roma, Di Renzo Editore, 2000 – Estratt

In “The Dead Pan”, la poetessa inglese Elizabeth Barrett Browning ci fa sentire tutto il rimpianto per la grande figura scomparsa. Ma i simboli cambiano il significante, mantenendo però costante il loro significato ed il loro potere: muore Pan e nasce il Diavolo, due facce della stessa medaglia. I contenuti della psiche, infatti, non cessavano di operare e di produrre immagini nelle nuove religioni che stavano allora nascendo. Sia in quella cristiana che in quella islamica esse ebbero alterne vicende e furono considerate con sospetto se non del tutto rifiutate. Entrambe si rifacevano all’ebraismo che vietava in modo assoluto di raffigurare l’entità divina, anche se, un esempio fra molti, il Cantico dei Cantici riesce ad evocare con la sua espressione poetica, meglio di qualsiasi arte figurativa, le più sublimi immagini umane e divine. In questo contesto la Chiesa di Bisanzio ripudiò tutte le immagini religiose che a quei tempi i monaci conservavano nei loro monasteri e da allora furono considerate come un’esperienza inferiore. Soltanto nel 787 con il secondo Concilio di Nicea, si risolse la diatriba tra fautori (iconoduli) e detrattori (iconoclasti) delle immagini, con la loro, seppur non definitiva, legittimazione all’interno del Cristianesimo nel frattempo influenzato più dalla cultura visiva della Grecia antica che dalla cultura della parola della religione ebraica.