Utero in anima

Un bell’impegno su cui riflettere

Prefazione di Francesco Montecchi

Ho accolto con piacere l’invito di Simonetta  Putti a  scrivere la prefazione a questo prezioso libretto per l’interessante e attuale nodo della gravidanza surrogata,  che ci fa essere spettatori di posizioni collettive contrapposte in una sorta di opposti integralismi, che poggiano su presupposti in cui è poco presente il bambino che dovrebbe nascere.

Non appartenendo a nessuna delle posizioni integraliste e avendo  passato la mia vita a lavorare con e per i bambini,  proporrò delle riflessioni e degli interrogativi  dalla parte del clinico che deve osservare e lavorare senza giudizio e pregiudizio ma in una visione bambino-centrica e non adulto-centrica come sta accadendo in questo dibattito. Non posso fare a meno di considerare che con l’evoluzione delle nuove modalità di far nascere i bambini e con i nuovi modelli di famiglia , i clinici e ricercatori  non possono far altro che osservare e studiare questi nuovi bambini che incontreremo.

Pertanto non darò l’ennesima opinione  ma mi attesterò nell’informare il lettore delle domande che mi pongo come clinico, nella  illusione e speranza che questi interrogativi possano arrivare alle posizioni integraliste e soprattutto permettano di far riflettere e dare risposte a domande che l’attuale fervore collettivo non si pone. Nel mio  interesse di conoscenza, mi chiedo, nel bene e nel male, che bambini saranno questi nuovi bambini  in rapporto a quelli che siamo abituati ad incontrare ?

Forse da clinici e da ricercatori faremmo bene a non schierarci con opinioni preconcette che si sostengono poggiandole su  ricerche  pomposamente enunciate fatte molto lontano da noi, ma non controllate nella loro indipendenza e affidabilità (come ricercatori sappiamo bene come si possono fare ricerche che a volte , avendone interesse , più che ricerche sono delle “ri-trovate” di ciò che si vuole dimostrare!).

Le domande che mi pongo poggiano su due filoni di pensiero: uno psicologico ed uno biologico.

Lavorando con i bambini e le famiglie, mi accorgo con sempre maggiore evidenza come siano attuali  le affermazioni  che già  Jung e  Freud hanno espresso  all’inizio del secolo scorso e che sono riprese dalla attuale psicologia del trans generazionale:

“L’uomo – dice  C.G.Jung  (1913)  – è in possesso di molte cose che non ha mai acquisito, ma che ha ereditato dai suoi antenati. Quando nasce non è una tabula rasa: è solo inconsapevole”;

e Freud (1912-14) evidenzia che  “l’individuo conduce una doppia vita, quella specificatamente individuale e quella come anello di una catena generazionale di cui è strumento indipendentemente dal suo volere”.

Ovvero più semplicemente, derivandolo dalla mia osservazione  clinica, sintetizzo il concetto in modo più grossolano  “ i bambini non s’inventano niente” , ma il loro comportamento e il loro funzionamento mentale fino alla loro psicopatologia  poggiano su contenuti consegnatigli dai loro genitori e progenitori, cioè dal corredo o bagaglio transgenerazionale. Ma questa consegna, questa trasmissione dove e quando avviene?. Nella teoria del transgenerazionale il momento nodale in cui avviene è la gravidanza , dal concepimento alla nascita. La psicologia prenatale, negli ultimi anni ha aggiunto che la relazione genitori / figlio non si sviluppa dalla nascita del bambino (Piontelli, 1987; Righetti, 1996; Janus, 1997; Della Vedova e Imbasciati, 1998) ma inizia dalla gestazione. In questa prospettiva l’attesa di un figlio si configura come un periodo delicato, carico di emozioni spesso conflittuali fra loro. La gravidanza, quindi, rappresentando un nodo evolutivo fondamentale, contiene in sé contemporaneamente una grande possibilità ma anche un grande rischio, sia per la gestante ma soprattutto per il bambino.

La vita apparentemente inizia dal momento della nascita. In realtà, quando nasce biologicamente, il bambino porta già in sé un gran numero di informazioni ed esperienze emotive che ha ricevuto e accumulato sin dal momento del concepimento.

Queste esperienze gli sono trasmesse dalla madre attraverso canali sensoriali, vascolari e umorali. Ogni variazione dello stato fisico e soprattutto dello stato emotivo materno è recepita dal feto come un messaggio piacevole o angoscioso, come una comunicazione buona o distorta con la madre.

La madre, però, non comunica al figlio  solo le proprie esperienze personali, ma svolge anche un ruolo di mediatore tra il feto e il “mondo esterno”. La comunicazione tra madre e figlio – come ho avuto modo di evidenziare recentemente – è permeata dal­l’intreccio delle storie personali dei genitori, dal momento evolutivo attraversato dalla gestante e dai rapporti che questa intrattiene con il tessuto sociale cui appartiene.

Ma nella gravidanza surrogata,  con la nascita, queste esperienze emotive prenatali, subiscono una cesura in quanto il neonato passa  nelle mani di chi ha prenotato la gravidanza.

Coloro che sponsorizzano la gravidanza surrogata potrebbero obiettare “ma queste sono  psico-cose  teoriche di cui non c’è certezza!”. Eppure  è sorprendente ed emozionante, come la recente evoluzione degli studi sulla genetica, sviluppatasi dopo la scoperta del DNA, ci offre delle informazioni che danno una conferma di queste teorie psicologiche .

Se intersechiamo  le teorie della trasmissione psicologica da una generazione all’altra,  passando attraverso la trasmissione madrilineare, con la ereditarietà delineata dagli studi sul DNA, DNA mitocondriale e dall’Epigenoma (l’epigenetica), possiamo trarre le conferme, biologiche, delle intuizioni di Freud e Jung e della psicologia del transgenerazionale.

In modo semplificato ricordo che  il DNA si trova all’interno di ogni cellula del corpo umano. E’ composto da cromosomi, che contengono tutte le informazioni genetiche che si trasmettono da un individuo all’altro. Ogni parte del DNA è formata da elementi più semplici, come se fossero gli anelli di una catena. Il DNA è la base fondamentale della vita. La funzione più rilevante del DNA è quindi quella di trasmettere le caratteristiche ereditarie da un individuo all’altro. Ma nella ereditarietà entra in gioco anche un altro DNA, il DNA mitocondriale (mtDNA) che si trova al di fuori dei cromosomi di una cellula, nei mitocondri, e il mtDNA si eredita unicamente dalla madre. Per questo tutti i figli di un soggetto di sesso femminile presentano lo stesso mtDNA, che  viene tramandato unicamente da madre in figlio. Tramite l’analisi del DNA mitocondriale, si può  scoprire la storia personale della famiglia ma  in linea materna. E’ suggestivo come questa scoperta vada a sostenere la trasmissione madrilineare pocanzi descritta attraversi i meccanismi psicologici.

Dal DNA dipende il genotipo; con il termine di genotipo si indica il corredo genetico di un individuo, è ciò che è “scritto” nel DNA e quindi immutabile; mentre col termine di  fenotipo,  si intende  l’insieme dei caratteri che l’individuo manifesta: dipende dal suo genotipo, ma anche  dalle interazioni fra geni con fattori esterni; dunque può variare. Il nostro fenotipo (quello che siamo fisicamente e nelle nostre capacità, funzioni e comportamenti) anche se deriva principalmente dal nostro “programma” genetico è  determinato anche dall’epigenetica.

La branca della genetica che sta letteralmente rivoluzionando la nostra tradizionale visione, è epigenetica (l’epigenoma), essa studia i cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo, e descrive tutte quelle interazioni con l’ambiente che determinano  modificazioni ereditabili e che variano l’espressione genica pur non alterando la sequenza del DNA.

L’epigenetica studia i numerosi fenomeni ereditari in cui il fenotipo è determinato non solo dal genotipo ereditato in sé, ma anche dalla sovrapposizione di modifiche apparentemente secondarie; la ricerca ha dimostrato come queste modifiche siano indotte da fattori ambientali  e il massimo impegno di questo funzionamento avviene durante la gravidanza. Alle cellule embrio­fetali è affidato il compito di definire il proprio assetto epigenetico in risposta alle informazioni provenienti dalla madre / gestante e, attraverso di essa, dal mondo esterno. Potremmo sintetizzare tutto questo, dicendo che il programma genetico specifico di un dato individuo è il prodotto di nove mesi di interazione epigenetica, con finalità adattativa e predittiva, tra miliardi di cellule e ambiente. L’ontogenesi embrio­fetale, (cioè l’insieme dei processi mediante i quali si compie lo sviluppo biologico) rappresenta la fase della vita di gran lunga più sensibile alle informazioni provenienti dall’ambiente e in particolare dalla relazione emotiva materno­fetale, (oltre ad altri fattori, alle esperienze nutrizionali, agli agenti inquinanti ecc.), proprio perché le cellule in via di differenziazione sono estremamente plastiche sul piano epigenetico. Ogni fenomeno epigenetico interagisce con altri fenomeni epigenetici, aggiungendo  complessità al sistema.

Ma allora, se la vita non inizia con la nascita ma durante la vita embrio-fetale e tra madre e feto ci sono un turbinio di processi biologici ed emotivi, cosa succede nella gravidanza surrogata ? Il bambino ha il dna  mitocondrale della madre , l’attivazione epigenetica della famiglia biologica  che poi perde, dopo la nascita, in quanto va in un’altra struttura familiare in cui non trova corrispondenza e continuità al processo evolutivo psicologico e biologico iniziato durante la gravidanza.

Sarà molto interessante osservare e studiare questi bambini confrontati con le teorie del trans generazionale e dell’epigenetica.

Alcuni mi obiettano  “ma allora nei bambini adottati ?”; è vero, ma nel caso di bambini adottati i genitori adottivi debbono essere consapevoli che nella loro missione non c’è un bambolotto al servizio dei propri bisogni narcisistici ma si dovrà essere disposti ad affrontare immancabili problemi: questi bambini portano iscritta nella memoria inconscia del loro corpo le loro origini non cancellabili. Analogamente dobbiamo chiederci: ma nei bambini  che nascono, e nasceranno, con la gravidanza surrogata  come si intersecheranno le influenze strutturanti della madre surrogata con la realtà familiare in cui il nato dovrà vivere?

È vera l’analogia con gli adottati, ma  mentre i bambini adottati hanno subito un abbandono (che è un reato) e poi sono stati adottati, nella gravidanza surrogata è già programmato un abbandono (attualmente si dibatte se “legalizzarlo”) ed una adozione.

Nel prossimo futuro ci sarà un bell’impegno su cui riflettere!

 

 

 

 

Francesco Montecchi, neuropsichiatra, è analista junghiano, membro didatta dell’AIPA (Associazione Italiana di Psicologia Analitica) e dell’AISPT (Associazione Italiana Sand Play Therapy) e dell’ITRI (Istituto di Terapia Relazionale Integrata). Fondatore e presidente della Onlus “La Cura del Girasole” (www.lacuradelgirasole.it). Già primario di Neuropsichiatria infantile all’Ospedale “Bambino Gesù “di Roma. È   autore e curatore di quindici libri attinenti la psicopatologia e la psicoterapia infanto-adolescenziale nonché autore di numerosi articoli scientifici.
montecchif@hotmail.com