in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 8, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2009 – Estratto
Amedeo Caruso: Come ben sai, essendo Tu il Nume Tutelare e l’Alleato Principe della mia impresa, sono alla ricerca delle radici psicoanalitiche del cinema Italiano d’Autore. Ho infatti incontrato Vittorio De Seta e Nelo Risi solo grazie al Tuo aiuto. E infatti Tu hai messo lo zampino, collaborando alle sceneggiature di entrambe le opere strettamente psicoanalitiche dei Tuoi amici, “Un uomo a metà” del primo e “Diario di una schizofrenica” del secondo. Il primo è del 1966, il secondo del ’68. Dunque i tuoi interessi di intellettuale cinematografico nei confronti della psicoanalisi sia junghiana che freudiana risalgono a circa venti anni prima la realizzazione di “Cesare Musatti Matematico Veneziano” dell’85 e “Barbablù, Barbablù” che è del 1987, giusto?
Fabio Carpi: Devo fare una piccola precisazione. Il mio contributo a “Un uomo a metà” di Vittorio De Seta è stato di carattere molto particolare e non ha minimamente influito sull’ideazione e i contenuti del film di cui Vitti è l’unico e indiscusso autore. Infatti, anche se il mio nome figura generosamente nei titoli di testa come coautore della sceneggiatura, io sono intervenuto quando il film era stato già, non soltanto interamente girato, ma perfino montato. E poiché la sua lunghezza appariva eccessiva se ben ricordo raggiungeva le tre ore, tale da renderlo difficilmente proiettabile in una sala cinematografica, sono stato chiamato da Vitti per aiutarlo a riorganizzare i materiali operando tagli radicali, alleggerimenti all’interno delle scene, e spostamenti di intere sequenze, per renderlo più facilmente leggibile e consono alle esigenze di una distribuzione. Il mio contributo è stato quindi di natura esclusivamente tecnica e professionale, tanto più che i miei cosidetti interessi psicoanalitici non comportavano familiarità alcuna con il mondo di Jung. Diversa è stata la collaborazione a “Diario di una schizofrenica” di Nelo Risi, che iniziò quando Nelo mi fece leggere due libri di Madame Séchehaye, entrambi pubblicati dalle Presses universitaires de France, il “Journal d’une shizophrène “appunto, e un testo di natura scientifica sulla realizzazione simbolica. Il lavoro fu lungo e faticoso, fianco a fianco, per vari mesi, e alla fine comportò anche una visita di qualche giorno a Madame Séchehaye a Ginevra per sottoporle la prima versione della sceneggiatura e correggere con lei i nostri eventuali errori. L’incontro con Madame Séchehaye è stato per me di grande importanza, e conservo ancora una bella fotografia che la ritrae insieme a Mademoiselle Dűss la quale, come scoprimmo in seguito, non era altri che la schizofrenica guarita. I miei interessi per la psicoanalisi risalgono però a molti anni prima, all’immediato dopoguerra, quando Umberto Saba, grande poeta e inguaribile nevrotico saltuariamente in cura, che aveva appena pubblicato (o stava per pubblicare?) “Scorciatoie e raccontini”, frequentava regolarmente la nostra casa a Milano, o per meglio dire la mia stanza. Inoltre, in quel periodo, viveva con noi anche il marito di una mia sorella, Gaddo Treves, psichiatra, e in seguito psicoanalista di matrice freudiana. In tempi successivi mi appassionarono due altri testi stampati dalle Presses universitaires, uno di Gérmaine Gueux sulla nevrosi d’abbandono, e un altro dell’americano Rosen per la sua insolita tecnica che comportava anche una specie di spettacolare lotta terapeutica con l’analizzato. E ancora voglio ricordare fra i miei autori preferiti Norman O. Brown e Georg Groddeck. Continua a leggere…