in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 15, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2012
Come analista, la mia attenzione è volta all’ascolto del mondo interiore ma – memore anche del richiamo junghiano all’importanza dello Zeitgeist – costantemente osservo anche il contesto ed il Mondo.
Di fronte al portato del paziente mi pongo, e pongo, una domanda: perché proprio adesso?
Ho imparato nel tempo l’utilità di inscrivere ogni fatto nella dimensione temporale e nella cronaca, nonché nella storia.
Così, oggi – davanti all’epistolario Lettere a Dora che mi è stato chiesto di recensire – mi pongo la stessa domanda: perché proprio adesso?
Il corposo volume che riporta le lettere di E. B. a Dora, e le risposte di lei, durante il periodo di internamento nel campo di Ferramonti, assume allora anche un potenziale valore attuale.
In estrema sintesi, lo scambio di missive che costituisce il libro è la storia di una sopravvivenza psicologica e spirituale a condizioni di estremo disagio e dolore.
Nel tempo attuale, in cui per molti paesi dell’area mediterranea lo spread costituisce il filo spinato che limita le possibilità di movimento ed i signori delle agenzie di rating sembrano diventati i nuovi kapò, assistiamo ad una crisi non solo finanziaria ma anche dei valori che sottostanno alla società ed all’etica; ne consegue una generalizzata perdita di fiducia nel presente ed una disperazione del futuro, sino ai casi estremi di suicidi almeno apparentemente indotti da motivazioni economiche.
In questo contesto, l’Epistolario può porsi anche come memento e monito, passare il messaggio forte che sopravvivere ed anzi vivere si può, anche in condizioni difficili e/o estreme, perché come scrive E. B. abbiamo un solo nemico: la depressione ed il dubbio, la mancanza di fede in proprio destino.(vedi lettera di Ernst a Dora, 13.VII.40/XVIII).
Il lettore potrà trarne spunti per procedere nelle contingenze attuali, in cui da più parti si configura lo spettro di una perdita di fiducia, e sembra smarrita la dimensione di un futuro progettabile; nonché spunti per reagire al quadro depressogeno spesso amplificato dai massmedia, recuperando e/o inaugurando atteggiamenti proattivi. E qui è forse utile ricordare che E. Bernhard – nell’intento di schiudere l’enigma dell’anima italiana – si è soffermato sulla Grande Madre mediterranea, come premessa archetipica atta a dar conto di tipiche modalità psicologiche, esistenziali e comportamentali influenzate, in non piccola parte, dal complesso materno.
Nella prospettiva di una lettura attuale, è allora probabilmente utile ricordare anche che per E. B. l’uomo può recuperare dall’Ombra la propria specificità e la propria forza. Al di là della terminologia prettamente junghiana, all’individuo è data la possibilità di conoscere il proprio lato cosiddetto negativo, le debolezze e i difetti, anche l’anormale, l’insolito, il mostruoso e – accettando e reintegrando tali aspetti – diventare consapevole della propria costituzione individuale irripetibile.
Consapevolezza che si pone anche come energia, forza di vivere, e di sopravvivere pur in condizioni estreme ed in contesti oppressivi.
Questo è solo uno spunto attuale reperibile nel libro, che ha, peraltro, radici lontane e molteplici motivazioni.
Nella accurata e articolata introduzione, Luciana Marinangeli, ben evidenzia quali fili l’abbiano condotta a volere ed a curare la pubblicazione dell’epistolario.
Tra questi, cito in primis la riconoscenza a Ernst Bernhard ed a Mario Moreno.. la riconoscenza, così come la gratitudine sono sentimenti divenuti rari; nel campo che si centra e ruota attorno alla psicoanalisi siamo da tempo avvezzi, piuttosto, all’invidia ed agli attacchi distruttivi …
Vi sono motivi, anche, di ricostruzione storica e di connessa informazione: in Italia la persecuzione fisica degli ebrei cominciò non – come comunemente si ritiene – con la razzia nazista del ghetto di Roma il 16 ottobre 1943 ma con il rastrellamento in tutta Italia dei circa 700 ebrei poi inviati nei vari campi di internamento sparsi nella penisola e soprattutto al sud: tra questi, il campo di Ferramonti.
Un luogo e una storia che la curatrice ha voluto recuperare alla conoscenza ed alla memoria. Ferramonti, nei fatti, è stato il più grande campo fascista d’Italia, con 4.500 prigionieri.
Da questo campo di concentramento Ernst Bernhard poté uscire, proprio quando stava per essere mandato ad Auschwitz, recuperando la libertà grazie all’interessamento di Giuseppe Tucci, archeologo e, orientalista, per lungo tempo ritenuto – paradossalmente – un fascista. Tucci si adoperò spendendo presso Mussolini il suo prestigio di scienziato di fama internazionale. Anche su questo punto, attraverso le lettere dell’epistolario, La Marinangeli riesce a correggere un dato storico, restituendo a Tucci la grandezza del suo operato, ovvero l’aver di nascosto aiutato molti ebrei salvandoli dalla morte.
Alla Marinangeli va riconosciuto anche il merito di aver restituito spazio e visibilità al dolore di chi non parla, o non viene ascoltato: la pubblicazione delle risposte di Dora alle lettere scritte da Ernst, assume un significato ampio estensibile a tutti i familiari dei carcerati, e delle vittime in genere. Le lettere di Dora esprimono la verità intima e personale di un vissuto condiviso, manifestano l’esperienza di una attesa sofferta in misura quotidiana e reale, a volte anche banale: dimensioni ben diverse dalla coartata amplificazione prevalente nei massmedia, tele-visone in primis, che nel nostro tempo paiono cercare – esibendo la sofferenza e l’emotività connessa – prevalentemente lo scoop.
I limiti editoriali mi impongono di sorvolare su altre linee portanti, rintracciabili e/o esplicitate dalla curatrice: tra queste, esito non irrilevante, offrire al lettore uno spaccato di come si viveva a Roma agli inizi della guerra.
Infine, al di là di queste note ma centralmente, la figura di E. B.
Persona e personaggio che la pubblicazione dell’epistolario meglio chiarisce, per esempio rispetto all’importanza attribuita già dal 1940 all’ idea di Divina Provvidenza, oltre che all’astrologia sulle orme di Jung, ma che sembra mantenere – nella sua complessità – un quid di inafferrabile e indicibile, talora anche spaesante.
Ernst Bernhard, medico pediatra berlinese, portò in Italia il pensiero di C. G. Jung e ne fu promotore ad ampio raggio, anche fondando, nel 1961, L’Associazione Italiana per lo Studio della Psicologia Analitica (A.I.P.A).
Così inizia una delle numerose pagine che Aldo Carotenuto, che ne fu allievo, dedicò al Maestro: “E. B. era un medico berlinese, di famiglia ebrea. Nato nel 1896 aveva studiato medicina e si era subito interessato di psicologia sottoponendosi ad analisi con Fenichel e Rado. Dopo una crisi spirituale, non bastandogli gli insegnamenti ricevuti, si rivolse allo studio di problemi più vasti di quelli che gli permettevano i confini della psicoanalisi.”
È il caso di ricordare che nel 1996, la Rivista di Psicologia Analitica dedicò un numero ai Maestri scomodi (Ernst Bernhard, Buber e Jung) : negli scritti di Bianca Garufi, Silvia Rosselli, Marcello Pignatelli, Paolo Aite ed altri si evidenziano tratti diversi e disposizioni spesso contrastanti, modalità comportamentali e capacità analitiche di E. B., uomo e psicoanalista; Romano Màdera sottolinea, come tratto distintivo, la spiritualità ed una nuova sapienza sincretica e biografica.
Ognuno coglie, consapevolmente o meno, quell’aspetto che più entra in risonanza con le personali corde dell’anima.
La s-comodità di E. B. sembra in effetti essere la controfaccia (o meglio, la forza e la debolezza) di una personalità complessa: in effetti, i confini della psicoanalisi furono ampiamente varcati ed andarono a embricarsi con interessi religiosi, filosofici, astrologici, artistici, generando una immagine caleidoscopica ed appunto, spesso spaesante.
Al lettore, adesso, grazie all’epistolario, è data la possibilità di integrare in quell’articolato mosaico una nuova tessera.