Il limite come attrattore di senso

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 10, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2010

Anche nel piano collettivo, l’evento/Morte si fa interprete di copioni paradossali: spesso la morte è negata/rimossa/esorcizzata; talora avvolta da difensive fantasie onnipotenti (pensiamo ai corpi ibernati, in attesa di possibili rinascite…), e nel contempo satura con la sua presenza le pagine e gli schermi dei mass media.

La sofferenza e il dolore vengono anch’essi spesso rimossi, grazie alle micro e macro–scissioni ben identificate da Argentieri, o spettacolarizzati.

Per avviare una comprensione della scena attuale considero brevemente l’atto appena conclusosi di un XX secolo al termine. Periodo in cui è possibile rintracciare la linea portante della lotta tra democrazia e integralismo e che ha visto verificarsi eventi bellici e politici di portata potenzialmente globale.

Periodo che – alla luce dell’Undicesimo Comandamento enunciato da Glucksmann: che nulla di ciò che è inumano ti sia estraneo – ha tutti richiamato alla necessità di guardare in faccia la realtà e divenirne consapevoli.

La consapevolezza e la connessa assunzione di responsabilità ha liberato incertezze forti, generando la ricerca di certezze nuove, spesso surrettizie.

Dalla metà degli anni ‘80, lo sviluppo progressivo e interconnesso delle nuove tecnologie – amplificando in modo prima impensabile le possibilità stesse del conoscere e del comunicare – ha in primis alterato la stessa percezione/fruizione della realtà, favorendo il diffondersi di modalità non di rado connotate di onnipotenza; l’ampliamento delle informazioni ha favorito la rapida diffusione di modelli e stili di vita prima ignorati: si è usciti dai confini del proprio mondo e ci si è trovati immessi nel Mondo, smarrendo e/o perdendo non di rado le coordinate identitarie e comportamentali consuete.

Il fenomeno della globalizzazione, comportando benefici e rischi , ha configurato germi di mutazione che hanno investito ad ampio raggio la sfera dell’esistenza umana, e quindi, inevitabilmente, le categorie di Vita e Morte; cambiamenti rilevanti hanno investito non solo l’ambito dell’informazione, della produzione e del consumo, ma anche della relazione interpersonale, della fruizione del piacere e della sessualità, modificando e sfumando, l’identità stessa dei soggetti.

L’Io è andato via via presentandosi come istanza sempre meno unitaria, a rischio anche di frammentazioni e proiezioni; il Sé non di rado è andato configurandosi come proteico , abbozzando progressivamente un’identità multipla e decentrata, da non considerarsi necessariamente come segno di isteria o di schizofrenia . Nel diffondersi di un’intelligenza collettiva si può cogliere il costituirsi di una mente connettiva mentre, nel contempo, l’identità va, secondo taluni, diventando liquida.

Grazie all’accesso al web e quindi all’informazione, sono state sottoposte all’attenzione collettiva tematiche complesse quali aborto, accanimento terapeutico, eutanasia, procreazione assistita, inducendo almeno un tentativo di riflessione su argomenti prima racchiusi in un ambito scientifico, filosofico ed etico.

L’idea della Morte – come oggi vissuta nel collettivo – appare emblematica di una junghiana scissione degli opposti: tra rimozione e spettacolarizzazione, tra ricerca spasmodica dell’eterna giovinezza, e apoteosi della terza e quarta età; mancanza di mediazione che sfocia talvolta in agiti inconsulti e distruttivi, sino agli epiloghi parossistici del togliere/togliersi la vita anche per eventi carenti o privi di senso.

Abstract

La morte – come certa incertezza – costituisce il limite dato a ognuno di noi. Questo limite, accettato e coscientizzato, può dare, dinamicamente e retroattivamente, senso al vivere e – dando senso – può dare adeguata serenità. La consapevolezza di essere costantemente nel margine che costituisce il territorio della vita – nel confine imprevedibile ma ineludibile con il territorio della morte – può divenire, per l’economia psichica, blocco o motore. I diversi destini di questa consapevolezza caratterizzano l’esistenza individuale: come la pratica clinica evidenzia, la concezione del mondo di ogni persona è, in ultima analisi, strutturata attorno al luogo in cui si è posta e fatta operare l’idea della Morte; e della propria morte. L’Autrice, rivisitando il pensiero filosofico con particolare attenzione a Heidegger e Jankélévitch, e ponendolo in rapporto al pensiero psicoanalitico, con riguardo specifico a Freud e Jung, riflette sulla possibilità di accettare creativamente la Morte. Viene altresì osservata la scena collettiva, nella quale spesso l’evento Morte si fa interprete di copioni paradossali: l’idea della Morte appare oggi come emblematica di una junghiana scissione degli opposti. Della morte e delle concezioni attinenti si sottolineano le implicazioni etiche, scientifiche, giuridiche. L’Autrice – esposto il proprio discorso sulla centralità della Morte nell’esperienza clinica – auspica un maggior rilievo di detta tematica nel training previsto per i futuri curanti del corpo e della psiche.