La casa e la scatola

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 2, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2006

Una riflessione probabilmente impopolare

In questo breve scritto propongo alcune riflessioni che – prendendo spunto da due eventi casuali – si sono avviate su quella che è stata una modalità di lavoro di Aldo Carotenuto.

Non a caso scrivo una modalità e non la modalità: con Carotenuto ho svolto la mia prima analisi personale a partire dal 1973 traendone l’esperienza di una modalità di lavoro e di approccio al paziente che via via ho visto modificarsi nel tempo, attraverso i racconti di altri che successivamente lo ebbero come analista.

La mia esperienza – durata quattro anni – mi aveva consegnato l’immagine di un analista attento, presente, abile nel decodificare i sogni…solo a tratti coglievo qualche trasgressione, quale il rispondere ad eventuali telefonate non riducendo al minimo la comunicazione, o, relativamente al setting, la presenza di altre persone nella sua casa.

Via via mi giungevano racconti di un Carotenuto poco attento, quasi distratto da “altro” rispetto al temenos della seduta.

Ne prendevo atto, sempre con beneficio d’inventario, così come consuetamente mi detta l’atteggiamento verso realtà che non ho sperimentato personalmente.

I fatti

Nel 1989 – essendo io diventata nel frattempo psicologa analista e quindi collega – Carotenuto mi chiese di scrivere una sua biografia per il libro Psicologia Analitica Contemporanea, insieme di scritti sugli analisti junghiani redatti da quelli che ne furono allievi.

A fronte dell’impegno accettato, parlai lungamente con il maestro, così come scherzosamente amava farsi chiamare, sugli aspetti caratteristici della sua vita e della sua personalità.

Carotenuto si definì un trasgressore nato, e su questo tema ci soffermammo più volte; andava così confermandosi – attraverso le sue stesse parole – un’immagine diversa da quella che avevo soggettivamente memorizzato.

La trasgressione rimanda necessariamente alla regola…Carotenuto pareva essersi affrancato progressivamente dai limiti intrinseci alla regola, limiti che sentiva come argini rassicuranti ma soprattutto difensivi.

Prendevo atto di una sua modalità che andava cambiando, e non mi riconoscevo in essa pur comprendendone talune ragioni.

Il tempo trascorreva… nei quasi quindici anni seguenti ho visto Carotenuto come collega, maestro, uomo che sapeva muoversi nella realtà con pragmaticità e coraggio, cogliendo l’ammirazione e il successo, nonché l’inevitabile correlato di critica e invidia.

A proposito di quest’ultima soleva ripetermi: “non bisogna aver paura dell’invidia …”

In questo eravamo molto vicini.

Provvisorie conclusioni

Guggenbühl-Craig scrive che le professioni d’aiuto (quindi anche l’essere psicoterapeuta) analizzate al di là della superficie, rivelano un quadro complesso di tratti di personalità, motivazioni, rischi.

Tra questi ultimi, il rischio dell’onnipotenza: sentirsi guaritore e quindi onnipotente.

Occorre invece mantenere una memoria attenta del proprio essere come Chirone, guaritore ferito.

Soltanto mantenendo viva questa percezione di sé l’analista può guardarsi dal rischio di cadere nell’onnipotenza e di ritenersi oltre la necessità delle regole.

Sentirsi soltanto guaritore comporta proiettare sul paziente l’immagine del malato.

Mentre sentirsi guaritore ferito consente di percepire nel paziente anche la corrispettiva parte sana e di attivarne la funzione autoguaritrice.

Se talune modalità di Carotenuto lasciano ipotizzare tratti di onnipotenza, c’è però da ricordare che egli si è spesso soffermato sui rischi connessi.

Così come il tema dell’inflazione psichica – definita come una fase molto insidiosa – è stato spesso trattato nei suoi scritti:

“….c’è il rischio di impossessarci di qualcosa che non ci appartiene. Si indossano senza troppa consapevolezza le effigi della divinità, dimenticando che qualità dell’uomo è proprio la sua finitezza, il suo essere mortale.

…. solo nella consapevolezza della propria finitudine è implicito il desiderio di una approssimazione alla conoscenza, che come tale è tensione e non raggiungimento. Laddove un’idea si cristallizza, attingendo a una sorta di paradisiaca onnipotenza, siamo in presenza di un dogma, il vero inferno della conoscenza.”

Carotenuto non è mai stato dogmatico… aveva una capacità di ironia e di umorismo che non consentiva la caduta nell’inferno del dogma.

Carotenuto soleva dire che un analista non può dirsi junghiano o freudiano..

L’analista può dire di aver appreso una modalità junghiana o freudiana…

In sintesi l’analista è se stesso, con le carenze ed i punti di forza che lo caratterizzano e che progressivamente si integrano nelle opinioni, nelle convinzioni, nell’esperienza fatta sul campo.