da Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura
Luigi Aurigemma: Jung non riusciva a formulare bene alla fine della sua vita quello che sapeva della non-morte, della morte totale, cioè l’esperienza dell’eternità…
Amedeo Caruso: Secondo Lei che idea aveva Jung dell’esperienza dell’eternità?
Ripeto, Jung sapeva che esiste una morte non totale.
Mi viene in mente quella poesia di Montale, se la ricorda? (e gliela recito a memoria, è una delle mie preferite: Sono pronto ripeto, ma pronto a che? / Non alla morte cui non credo / né a questo brulichio d’automi che si chiama la vita / L’altra vita è un assurdo / ripeterebbe la sua progenitrice con tutte le sue tare / l’oltrevita è nell’etere che se ne ciba per durare più a lungo nel suo inganno / Essere pronti non vuol dire scegliere / tra due sventure o due venture / oppure tra il tutto e il nulla / È dire io l’ho provato /ecco il velo, se inganna non si lacera).
Più invecchio e più mi sento animato e turbato dal dubbio. Invecchiare bene significa aver capito almeno qualcosa di quello che è stato, ma in questi giorni sono pervaso dal dubbio. È difficile invecchiare quando non si capisce, e pensare di non capire vuol dire non essere capace di tirare le somme di quel che si è vissuto. Invecchiare bene significa conoscere meglio la verità delle cose. Arricchire la conoscenza. Intendo dire la conoscenza della verità non tanto la conoscenza delle cose. Questo significa invecchiare saggiamente, non lasciarsi sfuggire l’essenziale.
Le confesso Professore che mi da un grande conforto ricordare a me stesso la magia imponderabile che usa Jung per descrivere la nostra esistenza: “la vita è un breve intervallo tra due grandi misteri, che poi sono uno soltanto”.
Però perchè lei ha scritto che il tempo della vita è breve?
(È un lapsus, non oso interpretarglielo, ma è chiaro, chiarissimo: si duole del fatto che la vita sia breve… in realtà io ho scritto che “il tempo della morte” è breve… non della vita).
Diciamo che è un modo per familiarizzare con il concetto della morte. Non vorrei parlare soltanto per bocca di altri ma Bataille lo ha scritto in modo sconvolgente: l’unico modo per familiarizzare con l’idea della morte è quello di collegarla a un’idea libertina. È un po’ quello che lei dice quando invita a “lasciar respirare il diavolo”.
Sono contento che lei ricordi e tenga presente questa mia espressione, è proprio quello che ci vuole, per noi umani, lasciar respirare il diavolo in noi.
Abstract
Questa intervista ha avuto luogo il 29 luglio 2007 a Parigi. L’autore ha conversato con il famoso curatore dell’Opera Omnia di Jung in Italia nonché autore de “Il Segno Zodiacale dello Scorpione” e di “Prospettive Junghiane”. In questo dialogo vengono toccati i temi della psicoterapia, della vecchiaia e della morte e rievocati gli anni della formazione di Luigi Aurigemma che è morto meno di tre settimane dopo a Parigi. L’intervista si trasforma così in un ricordo-testamento di questo eminente psicoanalista e storico vissuto nella capitale francese per oltre cinquant’anni senza rinunciare alla cittadinanza italiana.