in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 15, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2012
Quando intervistai Hillman a Torino nel 1995, grazie alla generosa e amichevole mediazione di Carotenuto, gli rappresentai la mia gratitudine per aver scritto un libro così bello. Trascrivo un breve pezzo della nostra conversazione di quel giorno al Convegno sui colori:
Dottor Hillman, la lettura de “Il suicidio e l’anima” mi ha cambiato notevolmente, ha rigenerato il mio rapporto con la medicina. Da Medico Internista, stretto osservante di canoni organicistici quale ero, dopo aver letto il suo libro ho capito quale fosse, per dirla con Pirandello, “il dovere del medico” …
E Hillman: Vede, scrivere quel libro ha cambiato anche me. Perché si deve assolutamente affermare il problema del suicidio, della morte, se si vuole diventare un vero terapeuta. Altrimenti, in realtà, si fa solo un lavoro di igiene e pulizia. E pensi che questo libro è stato scritto trent’anni fa. E io ancora la penso esattamente così. Tutto è rimasto uguale come allora. Ancora adesso ricevo lettere di gente che mi dice la stessa cosa, mi ringraziano per aver offerto delle idee che cambiano la vita.
Un altro aspetto entusiasmante del colloquio con il fondatore della psicologia archetipica è stato quello enucleato sempre nella nostra conversazione a Torino. Quando gli chiesi a proposito dei valori della vita anteposti al consumismo, mi rispose che oltre alla natura e all’anima, andava mantenuta viva la morte! E che bisognava resistere … Preservare, proteggere. Tornare insomma all’antico compito rivoluzionario, essere dei sovversivi, come ha fatto Freud, che era visto come un sabotatore del mondo medico dei suoi tempi …
Ho preso allora a leggere tutti i libri che riuscivo a procurarmi di Hillman, e devo confessare che, se non fosse per merito di Giorgio Antonelli, la mia frequentazione hillmaniana si sarebbe fermata a Il sogno e il mondo infero, che trovai ostico e legnoso. Ne parlai così con Giorgio, che mi consigliò semplicemente di rileggerlo. Cosa che feci, e devo ringraziarlo, perché mi sono ricreduto totalmente, ed ho capito che occorreva soltanto una ulteriore riflessione sul testo. Sento di poter affermare con sicurezza che un vero e decisivo passo avanti nella interpretazione onirica (e dunque nella psicoterapia) è stato compiuto soltanto da Hillman, dopo Freud e Jung. La sua re-visione della psicologia ha spostato il campo da un orizzonte e un obbiettivo soltanto terapeutici ad una lettura e ad una comprensione della sofferenza umana – o forse dovrei dire semplicemente dello status umano – che si dissocia dalla necessità assoluta di guarire a tutti i costi. Dunque i sogni possono essere terapeutici, ma possono riguardare non soltanto o non esclusivamente il sognatore, come ci spiega nella collezione di sogni sugli animali intitolata Animali nel sogno del 1982, dove i problemi con gli animali diventano anche i problemi dell’umanità con il mondo animale, e dunque con l’ecosistema. Come mi diceva, sempre nell’intervista rilasciatami: Cosa ne facciamo degli animali degli nostri sogni? Li uccidiamo? Scappiamo via da loro? Questo, come vede, è un problema ecologico. Quando ho scritto a proposito degli insetti, è perché lo ritenevo di estrema importanza, infatti gli insetti inquinano il cibo, e così fanno i pesticidi, e la stessa cosa facciamo noi con la paura degli insetti, che è nella nostra psiche (avere gli insetti in testa, “bugs in the head” è una frase idiomatica americana per indicare il massimo della confusione, nda). Oggi, negli Stati Uniti, si usano troppi pesticidi, agenti chimici nel cibo, nel mais, nel pane, negli animali… così avviene per la nostra paura degli insetti… Noi stra-uccidiamo, capisce cosa intendo? Stra-uccidiamo la Natura… questo è un problema psicologico! Ecco perché lo psicoanalista, colui che interpreta i sogni, deve ragionare ecologicamente.
Sempre nello stesso colloquio, il futuro autore di Un terribile amore per la guerra, mi confidò che un suo maestro di circa cinquant’anni prima (Jung stesso?) era solito dirgli che ogni sogno nel quale non camminiamo, è un disastro! E Hillman mi confidò, sorridendo, che anche sognare di andare in bicicletta può essere un segnale di salvezza.
Abstract
In questo articolo l’autore, che si proclama senza vergogna “hillmaniaco” fin dal titolo, percorre a ritroso un cammino che lo ha condotto, dalla lettura dei libri di James Hillman, fino alla sua conoscenza personale, sfociata in un’intervista pubblicata in anteprima sul Giornale Storico del 1996 e poi nel suo libro Di che sogno sei? La scoperta del pensiero hillmaniano diventa un tesoro e un’eredità che qualunque medico e psicoterapeuta può fare suoi, arricchendo felicemente la sua professionalità e la sua vita interiore. Vengono inseriti nello scritto due esempi artistici – Patti Smith e Chet Baker – che potrebbero essere facilmente considerati delle postille al Codice dell’anima. Il racconto è condito anche da un saporito ricordo hillmaniano che lo psicoanalista Luigi Aurigemma ha confidato all’autore..