Uccidere chi? Una risposta femminile psicofuturista dal XX secolo

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 14, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011 – Estratto

La condizione femminile è in forte disparità, e grave sofferenza – dall’alba del genere umano – rispetto a quella maschile. Lo scopo di questo scritto è di ricordare, tratteggiandone brevi aspetti biografici, alcune donne del secolo scorso, le cui caratteristiche psicologiche e comportamentali ci sembrano così speciali da poterle definire creature psicofuturiste “ante litteram”. Il movimento psicofuturista da me fondato nel 2009, riconosce e propugna, sulla base dell’idea junghiana di animus e anima, una piena uguaglianza e commistione, rispetto e comprensione tra l’universo maschile e quello femminile, che, pure nella loro anatomica e fisiologica diversità e differenza, meritano gli stessi diritti ed hanno le medesime necessità. Personaggi psicofuturisti sono dunque tutti quegli esseri viventi che nel corso della storia hanno contribuito a una reale crescita e ad un vero progresso del genere umano, soprattutto perché dotati di qualità psicologiche eccezionali e animate da rispetto e considerazione per il diverso sesso. Lo statuto fondativo del CSPL fa riferimento costante agli artisti, e non è quindi casuale l’attenzione precipua che viene dedicata, anche in questo scritto, a tre personaggi della letteratura, Lillian Hellman, Simone de Beauvoir, e, nel caso di Mae West anche del cinema, pur essendo quest’ultima autrice di testi teatrali e autobiografici. Le lettrici e i lettori dovranno riconoscere insieme a me che la politica, anche quella più democratica, non è riuscita a parificare onestamente i rapporti tra i sessi sia a Casa che a Scuola, non in Parlamento e neanche nella Società. Ci riferiamo naturalmente solo alla condizione femminile occidentale, perché sul mondo orientale possiamo pronunciarci solo con prudenza ed i necessari limiti di un occidentale (psicofuturista, però, quale spero possa essere considerato ogni autentico psicoanalista), esprimendo un sentito dissenso e un fiero sgomento per la realtà femminile indiana, cinese, araba, ma anche giapponese, dei paesi dell’Est, dell’Africa ed anche del Sud-America, così come la conosciamo, sia per esperienza diretta che per informazione ed approfondimenti culturali.

La vita di Lillian Hellman è stata da lei raccontata in alcuni notevoli libri, usciti a distanza di tempo l’uno dall’altro, costituendo una vera e propria tetralogia autobiografica. La Hellman è uno dei primi esempi di donne che definiamo psicofuturiste per merito delle sue scelte professionali, sentimentali e politiche. La lettura dei volumi che scrisse tra il 1969 ed il 1980 ci fa scoprire un grande talento senza inibizioni né paure, e rivela la storia di un personaggio speciale e indipendente. Il primo libro, che si intitola Una donna incompiuta, vinse lo stesso anno della pubblicazione il National Book Award, a questo seguirono Pentimento, Il tempo dei furfanti e un’ultima breve, significativa appendice che è Una donna segreta, edito quando lei ha 75 anni e può davvero fare un bilancio del suo cammino umano ed artistico. Questi scritti contengono moltissime pagine estratte dai suoi diari e ci consegnano il ritratto di una figlia della buona borghesia vissuta e allevata in uno stato del Sud Americano, la Louisiana, e poi trasferitasi a New York, dove comincia a lavorare collaborando con l’editore Liveright e studiando letteratura e filosofia. A vent’anni sposa l’agente teatrale Arthur Kober, si lancia nel mondo della scrittura recensendo libri per il New York Tribune e ha l’incarico di scegliere copioni teatrali, facendone una vera e propria indigestione che però esiterà nel suo primo lavoro teatrale, L’ora dei bambini, che avrà un successo clamoroso. Ancora oggi, nella sua trasposizione cinematografica, rimane di una modernità sconvolgente, trattandosi di una storia omosessuale al femminile, che ebbe addirittura due versioni, dirette entrambe da William Wyler, nel 1936 e l’altra nel 1962 (con Audrey Hepburn e Shirley MacLaine), quest’ultima senza il lieto fine imposto dal produttore Sam Goldwin nella prima. Dopo questo successo teatrale (nel quale si trovano evidenti richiami alle buie atmosfere di quel tempo americano dove si dava la caccia alle streghe comuniste anche tra gli artisti) Lillian, che nel frattempo si è già separata dal marito – e ha già incontrato colui che definirà sempre l’uomo della sua vita: Dashiell Hammett – si accinge a compiere molti viaggi in Europa e in Unione Sovietica fino al 1937. Nel 1941 scrive un dramma politico intitolato Veglia sul Reno, dedicato alla sua amica scrittrice Dorothy Parker, un’altra vera donna psicofuturista e antifascista. Lo scritto verte sulle responsabilità americane nei confronti del fascismo e le fa guadagnare l’ambìto Premio della Critica Teatrale di New York. A trentaquattro anni compone, sempre per il teatro, Piccole volpi che, oltre ad essere un successo strabiliante al botteghino, le fa vincere il premio Pulitzer. Anche questa pièce provoca scandalo e rimostranze nella classe conservatrice e perbenista americana, ma la Hellmann si diploma così tra i drammaturghi più incisivi e corrosivi dei suoi tempi. Convive già insieme a Dashiell Hammett, anche lui reduce da un divorzio e soprattutto armato di una geniale attitudine per la scrittura (sarà un maestro della giallistica hard-boiled mondiale, che non teme il confronto con la cosiddetta Letteratura di serie A, al pari di Raymond Chandler e S. S. Van Dine, Georges Simenon e Agatha Christie, Conan Doyle e E. A. Poe) e di una caparbia convinzione politica filocomunista, che gli farà scegliere la prigione piuttosto che finire delatore di amici sospettati. La loro convivenza stabilisce anche un binomio artistico di una creatività eccezionale. Non sarà un caso che tutta la produzione teatrale della Hellmann coincide con il periodo della loro vita insieme. Consiglierei Chi mi sta leggendo di andarsi a cercare un vecchio film di Fred Zinneman, Giulia, del 1977, con protagoniste Jane Fonda e Vanessa Redgrave, è ispirato a una storia vera che la Hellmann ha scritto su una sua grande amica, il cui testo è contenuto nel libro già citato Pentimento (1973). Chi avrà la curiosità di vederlo mi perdonerà se cito (a memoria) una sola pregnante scena nella quale la protagonista (una Lillian Hellmann interpretata da una superba Jane Fonda) litiga con Hammett che vorrebbe impedirle di partire nuovamente in Europa, nella speranza di ritrovare la sua amica, che lui dà sicuramente per morta, uccisa dai nazisti; e lei, che non si lascia convincere, mentre fa le valigie – quando lui le consiglia di lasciar perdere – gli ribatte: Vuoi che mi dimentichi così anche di te? Inoltre pregherei quei volenterosi cinefili che riusciranno a conquistare il film di fare attenzione alla scena in cui viene delineato a tutto tondo il forte legame artistico fra i due – quando lui si fa aspro critico di un pezzo che lei gli sottopone – per capire proprio bene di che cosa parliamo quando parliamo d’amore, come direbbe Raymond Carver. Hammett muore nel 1961 e lei gli dedicherà poi nei suoi libri appassionati capitoli e citazioni, più una splendida introduzione pubblicata nel libro di Dashiell Hammett, edito da Mondadori, L’istinto della caccia (1974). Lillian diventa un’attivista pacifista ed è a fianco del movimento studentesco americano del 1968, nonché una tenace testimone dell’opposizione alla tirannia americana della polizia e delle sue “zie” bellicose e reazionarie FBI e CIA. Si scontrerà anche duramente con Nixon, che aveva già affrontato durante la repressione maccartista di cui il presidente era stato un membro attivissimo e spietato. Nel 1970 la Hellmann fonda il Comitato per la Giustizia Pubblica per la Difesa dei Diritti Costituzionali. Ne Il tempo dei furfanti osa scrivere: “Siamo un popolo che non vuole serbare il ricordo di gran parte del suo passato. In America si considera malsano ricordare gli errori, nevrotico pensarci, psicotico rifletterci”. Stiamo raccontando la storia di una donna e di una scrittrice, di una donna che ha amato e che ha sofferto, ma che non è stata né una santa né un’eroina, e di sicuro non ha desiderato mai essere né l’una né l’altra. Chi affronterà il piacere della lettura dei suoi libri incontrerà anche pagine piene di storie di sbronze, di tristezze, di rancori, di rimpianti. Ma scoprirà, come è avvenuto per chi scrive, un’anima capace di fronteggiare le avversità della vita con coraggio (che erroneamente il mondo maschile definisce esclusivamente “virile”) e un confronto con gli uomini della sua esistenza, basato sull’apprendimento continuo di una complicità cameratesca, a cui mirano tutti gli amanti che si rispettino, ed anche di un sano rispetto per se stessa.

Abstract

L’autore racconta la vita e l’opera di tre donne straordinarie del Novecento: Lillian Hellman, Simone de Beauvoir e Mae West, ritrovando nella loro vita e opere le radici di un femminile che ha saputo gestire con equilibrio psichico e intelligenza i rapporti con il “sesso forte”. Questi tre personaggi, che Caruso annovera tra le donne “psicofuturiste” ante-litteram, hanno anche svolto un fondamentale ruolo educativo ed esemplare per le generazioni del loro tempo e del futuro. Si tratta dunque di donne che hanno saputo amare ed essere al contempo protagoniste della loro vita sentimentale e professionale senza essere vittime del maschile.