Fino a ieri eravamo orgogliosi del fatto che negli ultimi settantacinque anni il mondo occidentale non avesse conosciuto conflitti armati a livello mondiale. Ma c’eravamo illusi. All’improvviso, come in un film catastrofistico di fantascienza, tutto è cambiato. Un agente patogeno al momento ancora misterioso e invincibile diventa un killer inafferrabile e micidiale, facendo piombare l’umanità in una guerra non convenzionale (così l’ha definita il Presidente Francese Macron, e non solo lui). Non dobbiamo difenderci da bombe atomiche o altre terribili minacce di armi sofisticate: dobbiamo combattere contro un nemico che abbiamo cominciato appena a studiare, una bomba “umana”. E in trincea ci sono medici, operatori sanitari e farmacisti; da non dimenticare, poi, altre categorie di lavoratori che per assicurare la nostra sopravvivenza sono costrette a stare in seconda linea, tutti quelli che ci assicurano le forniture cibo, il trasporto di medicine e mascherine e tutto ciò che è correlato con la nostra salute e sopravvivenza. Poi, un esercito di ricercatori e scienziati, cui deve andare sempre il nostro plauso, sono in frenetica attività, ma al momento gli studi di terapia hanno ancora bisogno di tempo per avere qualche risultato attendibile, scientifico appunto.
A oggi, fine marzo, il contagio è ancora in aumento in tutto il mondo e nessuno è in grado di dire quando il virus potrà essere debellato, né tantomeno quando una terapia sarà davvero efficace o un vaccino realizzato: queste sono le nostre speranze.
A livello individuale e collettivo dobbiamo combattere contro un altro virus: la paura. Troppo abituati a credere, noi classe media occidentale senza problemi di sopravvivenza materiale, di poter essere padroni della nostra vita, di poter fare quel che volevamo… solo uno spettro avevamo avanti agli occhi, l’evento naturale della morte fisica. Ma anche quello avevamo imparato a esorcizzarlo con comportamenti, talvolta eccessivi, di consumismo sfrenato e vitalistico, soprattutto i più giovani. Gli anziani un po’ meno, forse perché più consapevoli e preparati all’accettazione della conclusione “naturale”, della loro vita.
E dire che Freud ci aveva messo in guardia; rileggendo il suo testo Il disagio della civiltà, ci dice che nella vita nulla è garantito, tutto è incerto e precario. E così viviamo in una condizione di spaesamento. Ognuno di noi ha modi differenti di reagire.
L’informazione svolge in questi frangenti un ruolo centrale. Ci fa sapere cosa è avvenuto quotidianamente in Italia e in quei paesi del mondo in cui questo inafferrabile nemico è stato – sembra – quasi debellato, pensiamo alla Cina dove i casi si contano solo a decine, e ci aggiorna quotidianamente riportando tante osservazioni e troppi commenti talvolta polemici su quel che sta avvenendo in Italia e nel resto del mondo, che francamente potrebbero essere risparmiati.
L’informazione è certo doverosa, ma per molti è anche ansiogena, e se non bastasse siamo bersagliati da fake news, che vanno a intasare i nostri cellulari e computer, diventati per quasi tutti prezioso strumento di contatto.
La triste verità è che nessuno al momento può fare serie previsioni. Le nostre abitudini di vita sono radicalmente mutate sotto il profilo materiale, ed è giusto che sia così nel tentativo di contenimento del virus.
Non è un grosso problema per quelle persone come me che per età hanno terminato la loro attività lavorativa e che, soprattutto se vivono soli, hanno attuato da tempo contromisure atte a vincere il veleno della solitudine: le buone letture.
Consideriamo anche gli aspetti psicologici conseguenti agli scombussolamenti della vita affettiva per le coppie che per motivi diversi sono costrette a vivere separate. Senza dimenticare coloro che hanno perso o stanno perdendo il lavoro o, se lo mantengono, questo avviene con riduzione di retribuzione.
Ecco così che all’angoscia provocata dal possibile contagio, si aggiunge la preoccupazione economica.
Il Covid-19 non ha contagiato solo persone fisiche, ma tutti i mercati mondiali.
E inevitabilmente il discorso scivola sulle conseguenze economico finanziarie del pianeta. È come se stesse arrivando una seconda pandemia. Per quanto gli economisti raramente “azzecchino” le previsioni (parola mia che nel mondo dell’economia ho bazzicato per quasi cinquant’anni), per il nostro Paese, per il mercato europeo e quello mondiale la prospettiva è quasi certa: una grande depressione impossibile da quantificare oggi.
Curioso come la depressione non riguardi solo gli umani, ma anche i loro affari, e questo lo dico da persona che ha lavorato negli ambienti economico-finanziari italiani, ma ha sempre frequentato con passione e modestamente con successo il mondo della psicoanalisi.
Anche se mi rendo conto che sullo stimolo di reazioni emotive si tenda a esagerare, penso che nel “dopo” si possa prevedere che “nulla sarà come prima” e che cambieranno, nessuno può dire quanto e come, tutti i rapporti di geopolitica economica internazionale. E poi si dovrebbe avere la lucidità, al momento impossibile per mancanza di dati, di fare distinzione tra economia reale e finanza, oramai globalizzate. Tutte e due in stretto rapporto d’interdipendenza. A livello individuale e collettivo le crisi fanno emergere il meglio e il peggio di ognuno dei soggetti coinvolti. Quel che si può dire a oggi considerate le suddette interdipendenze, che ci vorrebbe più Europa. Ma l’Europa al momento è in crisi profonda di identità. Cerchiamo di nutrire psicologicamente la nostra coscienza, allontanando il panico.
Ho detto prima che i solitari per scelta o per necessità hanno qualche anticorpo in più degli altri dal punto di vista della protezione contro l’isolamento. Personalmente ho imparato che dobbiamo fare nostro un motto che ricordo da un film di Ridley Scott, Black Hawk Down, che giustifica e santifica i Rangers con gli elicotteri che vanno a salvare i loro colleghi in gravi difficoltà: non si deve abbandonare nessuno!