Psiche Arte e Società – Psiche e Arti Visive

La Psiche che coniughiamo alle Arti Visive – nel titolo scelto per questo terzo numero della rivista – vuole porsi non soltanto come polo dialettico e riflettente rispetto alla produzione artistica, ma come elemento discreto, seppur formante e caratterizzante. L’etimologia della parola psiche rimanda all’immagine di “soffio”, respiro vitale che presso l’antico mondo greco si è poi esteso ad indicare l’anima. Nel procedere del tempo, la psiche è andata a indicare il complesso delle funzioni e dei processi che portano l’uomo ad avere esperienza di sé e del mondo, connotandone i comportamenti e l’azione.
Psiche, quindi, apre potenzialmente territori vasti e possibilità molteplici di osservazione. Qui, come scelta editoriale, proponiamo una sua presenza fluida e animante, che accompagni lo sguardo sugli oggetti senza mai forzarli in interpretazioni precostituite.
Questi criteri hanno portato alla selezione degli articoli presenti in questo numero, ed alcuni autori sono alle loro prime produzioni letterarie, con una propensione alla leggerezza determinata dal desiderio di lasciare uno spazio ampio all’artista medesimo e all’oggetto artistico. Meglio dire, in questo caso, oggetti… indicando non soltanto i prodotti ma anche le procedure, i mezzi, le tecniche. Elementi ai quali abbiamo voluto porre una speciale attenzione. Del resto, le cosiddette arti visive si dipanano in una gamma ampia e spesso neanche del tutto definibile, in quanto possono comprendere qualunque forma artistica che generi un oggetto, appunto, visibile.
Già l’Arte, senza ulteriori specificazioni, è termine che si dipana in svariati possibili fili di significato. La radice latina artem vuol dire “maniera” e la radice ariana AR ha il senso di mettersi in moto, dirigersi verso qualcosa ma anche adattarsi.
Ed il mettersi in moto, la direzione e l’adattamento sono dimensioni che chiamano in causa – irrevocabilmente – anche il Mondo. Ci piace, infatti, sottolineare che molte delle “arti” che qui presentiamo hanno un rapporto stretto e fecondo con lo Spirito del Tempo, ne mutuano le scoperte, le tecniche, le procedure e a sua volta ne divengono parametri orientanti. Caratteristica che fu ampiamente rappresentata nel Futurismo e che oggi, stante l’incessante procedere delle tecnologie mediatiche, diviene parte strutturante e taglio connotativo. Così come il Futurismo ebbe relazione intima con la seconda Rivoluzione industriale, le arti visive contemporanee sono in continua articolazione con la Rivoluzione digitale.
Basti un cenno al “tecnoquadro”, neologismo coniato da Gianluca Marziani, che esplicitamente ci propone il rapporto tra quadro e tecnologie, esprimendo altresì “i modi in cui le forme tecnologiche dell’epoca si sintetizzano nella superficie del pannello. Tecnologie come uso diretto dei progressi, dalla serigrafia ai tempi di Warhol all’informatica del nostro presente”. Questo è il territorio (in mutazione) di cui scrive Simonetta Putti, spingendoci a pensare che noi tutti si stia viaggiando verso una ibridazione di materiale/mente/significato/simbolo.
Come sopra accennavamo, avevamo proposto ai nostri autori uno sguardo fluido e animante, libero di spaziare laddove li portasse l’inclinazione personale… così, a contrappunto e utile memoria, Roberto Cantatrione si sofferma, invece, su artisti ed opere che ormai hanno acquisito il crisma della classicità e della tradizione. Vincenzo Leccese si occupa di diverse opere d’arte che hanno a che fare con la psichiatria, commentandole con perizia e passione, invitandoci naturalmente a prendere visione di questi quadri e, attraverso le firme di Hogart, Bosch, Dürer, De Chirico e Munch e anche di un film sulla pittrice de Senlis, ci accompagna in una passeggiata tra malinconia, follia e creatività. Sempre nel solco della tradizione, si muove Germana Galdi, acquarellista, che rispecchia nella prediletta tecnica non solo il proprio gusto estetico, ma un’intera visione del Mondo. Stefano Mascarin, psicoterapeuta, scrive con passione dell’opera d’arte come relazione di presenza tra l’opera ed il suo osservatore, che – nei brevi minuti del loro sguardo ed abbraccio – mette a nudo e quindi rende visibile gli aspetti più intimi del nostro essere e quelli dell’artista. Alessandra Ojetti, psicologa, riflette sulla psicoanalisi come ottica privilegiata per la comprensione dell’opera d’arte, in qualsiasi forma essa si estrinsechi. Irene Alison, fotografa professionista, ci offre uno spaccato preciso della situazione dell’arte fotografica nel tempo che stiamo vivendo, centrando l’attenzione sulla mobile-photography, diventata, nel giro di pochi anni, un fenomeno che riguarda milioni di persone. Ugualmente interessata alla fotografia intesa come fototerapia è Valentina Bonaccio, psicologa, che ci racconta come molti nomi della psicoterapia moderna hanno introdotto l’uso delle fotografie a scopo terapeutico. Claudia Demichelis, antropologa culturale e documentarista, racconta del docu-movie realizzato nell’ambito dell’ex ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà, evidenziandone non solo il senso di forte denuncia volta al cambiamento ma anche la storia e la genesi del movimento che è partito dalla rivoluzione antipsichiatrica di Basaglia. Sotto forma di dichiarazioni di poetica, una specie di ars poietica intesa platonicamente come il fare dal nulla, c’è la lettera al Direttore della neo-scrittrice Donatella Di Lallo, un’artista che si racconta nella sua educazione ed evoluzione creativa, che sono molto influenzate dalle sue letture psicoanalitiche. Siamo certi che i lettori avranno un nuovo paio di occhiali per guardare i film, dopo aver letto l’interessantissimo articolo di Giorgio Mosconi, psicoterapeuta, che è andato a ricercare proprio un raro film per avvalorare le sue tesi, che ci hanno convinto e vi convinceranno, in quanto incontestabili: la psiche si esprime attraverso le immagini, ogni pensiero umano è rappresentazione. Ancora il cinema, la settima arte, la più nuova delle arti visive, anche se ormai ultracentenaria, è l’oggetto di elezione di Amedeo Caruso, che sceglie il film Dreams That Money can Buy di Hans Richter, per accompagnarci in un viaggio dentro e fuori di noi verso la terra dei sogni. In questa pellicola si incontra di un venditore di sogni che è il committente onirico di artisti come come Man Ray, Marcel Duchamp, Alexander Calder, Max Ernst e Fernand Léger. Grazie a questi maestri della pittura e della scultura, regista compreso, avremo un assaggio verbale di come i sogni possano essere letteralmente forgiati e come la visione del film potrebbe aiutarci ad arricchire il nostro universo psichico e a nutrire il nostro pianeta onirico.
Segue un allestimento fotografico delle opere degli artisti che hanno collaborato a questo numero e una scelta di fotografie e video nel caso di Amedeo Caruso che corredano idealmente gli articoli degli altri autori. La scelta editoriale di non inserirle nel volume è motivata dalla possibilità di prendere visione di immagini migliori e a colori e, non ultimo, dal desiderio di far prendere confidenza agli Abbonati ed ai Lettori con il nostro sito.

Amedeo Caruso e Simonetta Putti

 

La scelta di Amedeo Caruso è di invitare i lettori a prendere visione della pellicola di cui parla nel suo articolo. Il film è disponibile liberamente su archive.org e qui di seguito incorporato.


Simonetta Putti ha scelto l’immagine seguente (Umanità)

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Giorgio Mosconi propone un immagine dal film Amor nello specchio

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Irene Alison (Irene Alison) ha scelto due foto realizzate durante le ricerche fatte per il libro.

Valentina Bonaccio ha selezionato per il suo articolo due foto di Rossana Centracchio.

Per Claudia Demichelis un video della campagna di crowfunding del docu-film Padiglione 25.

Germana Galdi presenta l’opera 68 Rue, J.J.Rousseau – Paris 2013, 30×22, acquerello su carta.

Germana Galdi, 68, Rue J.J.Rousseau Paris 2013 (30x22 acquerello su carta)

Donatella Di Lallo con due sue realizzazioni.

Altre opere di Donatella Di Lallo sono presenti nella sua pagina facebook.

Vincenzo Leccese propone l’opera di William Hogarth citata nell’articolo e Melancholia di Albrecht Durer.