Il Nodo junghiano – Intervista a LUIGI ZOJA

Luigi Zoja

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 13, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011 – Estratto

Luigi Zoja è quasi certamente lo psicoanalista italiano più conosciuto all’estero. Si è formato all’Istituto Carl Gustav Jung di Zurigo, dove è diventato psicologo analista. Ha praticato la professione e insegnato a Zurigo e New York. Attualmente lavora a Milano. Ha tenuto corsi presso diverse Università italiane. Molti suoi articoli come opinionista psicologico sono comparsi sul giornale “Il Fatto Quotidiano”.

Dal 1984 al 1993 è stato Presidente del CIPA (Centro Italiano di Psicologia Analitica). Dal 1998 al 2001 ha presieduto la International Association for Analytical Psychology (IAAP). Dal 2001 al 2007 è stato Presidente del Comitato Etico internazionale dello IAAP.

Ha vinto due Gradiva Award, il più prestigioso riconoscimento americano per opere di psicoanalisi. Larga parte dei suoi lavori, tradotti in 14 lingue, interpretano vari comportamenti problematici del giorno d’oggi (dipendenze, consumismo sfrenato, assenza di una figura paterna, la proiezione in politica di odio e paranoia…) alla luce di miti, testi letterari e tematiche archetipiche. Continua a leggere…

A Colloquio con il Regista Nanni Garella Un metteur en scène “dutåur di mat”, quasi junghiano

Nanni Garella

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 12, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2011 – Estratto

Nanni Garella: Sai che ho messo in scena Anatol di Schnitzler dove c’è una delle ragazze che lui ipnotizza… in modo piuttosto scherzoso… ma insomma, tra il lusco e il brusco si capisce che frequentava l’ambiente…

Amedeo Caruso: Schnitzler era considerato da Freud la sua ombra, il suo “doppio letterario”, uno scrittore che ammirava moltissimo, tanto che gli ho dedicato anni fa uno scritto che si intitola Arthur Schnitzler come psicologo dove descrivo diffusamente i loro rapporti e ancora ho scritto dei piccoli monologhi teatrali dove c’è, tra gli altri, anche lui come protagonista dello spettacolo “Le stanze dei sogni”. Ma adesso parliamo dei tuoi spettacoli che io trovo davvero straordinari, unici più che rari, che sono partiti quando? Continua a leggere…

Conversazione con il Regista Roberto Andò: L’uomo con la macchina da presa psicoanalitica

Roberto Andò

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 11, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2010

Amedeo Caruso: Questa lunga intervista filmata potrebbe considerarsi quasi un testamento spirituale e artistico del professore Francesco Orlando, non crede?

Roberto Andò: Pensi che per Orlando era così vivo il ricordo di quegli anni, e del vissuto, che a un certo punto si è messo a piangere, e questo è un pezzo che poi ho tagliato. Lui non aveva ancora pubblicato l’unico romanzo che ha scritto, La doppia seduzione. Me ne aveva parlato, mi aveva dato molti dettagli della sua vita privata, ma io ho fatto opera di pura immaginazione abbastanza vicina alla realtà, cosa di cui mi sono accorto quando ho letto il libro, mostrando nel film questo testo, e anche immaginando la lettera che gli avrebbe scritto Lampedusa, che poi ha visto la luce appena nel febbraio di quest’anno. Ricorda quando lui racconta nella mia video-intervista il sogno in cui gli viene attribuito il ruolo del boia? Bene, questo rimanda ai suoi rapporti con il Principe. In fondo questo romanzo rappresenta il tema della sua vita, affronta l’omosessualità che lui non ha mai voluto esibire, e che era una preoccupazione secondo me infondata. Continua a leggere…

A colloquio con Simona Argentieri, la psicoanalista “principessa dello schermo delle sue (e nostre) brame” che ha incoronato Freud a Hollywood.

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 10, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2010 – Estratto

Amedeo Caruso: dottoressa Simona Argentieri, se Freud si è fermato a Hollywood possiamo dire che Jung è arrivato a Cinecittà, pensando al bel film di Lizzani Cattiva?

Simona Argentieri: Proprio bello quel film. Lo sa che la De Sio si è molto dispiaciuta per il taglio che fece Lizzani di alcune parti che erano secondo lei quelle in cui si era espressa meglio?

(Come farà a sapere queste cose? Il mio sospetto è che sul suo lettino si siano sdraiati molti attori e registi e pertanto conosce tanti segreti che naturalmente non può rivelarmi, e così evito la domanda banale su dove ha letto queste dichiarazioni). Quali sono i film italiani che Lei predilige? Continua a leggere…

Incontro con Giovanna Gagliardo: Pubbliche virtù cinematografiche, appassionate visitazioni psicoanalitiche

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 9, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2009 – Estratto

Amedeo Caruso: Vogliamo cominciare con la commissione che ebbe per il documentario su Emilio Servadio?

Giovanna Gagliardo: Sì, eravamo nella seconda metà degli anni ottanta, era l’ottantotto o forse l’ottantanove. All’epoca c’era all’Istituto Luce come Presidente Stefano Rolando, che aveva grande sensibilità per temi antologici. Voleva fare il Novecento, fare una collana sul ‘900 con grandi testimoni, ognuno nella propria disciplina. Decise così’ di cominciare con i padri fondatori del Movimento Psicoanalitico. Lui aveva una moglie psicoanalista e pensò al lombardo Fabio Carpi per Musatti che viveva appunto a Milano e a me per Servadio che viveva a Roma come me. Io ero molto coinvolta nel movimento psicoanalitico sia perchè ero in analisi ed anche perchè ero molto amica di Piero Bellanova a cui sono stata legata da affetto fino alla sua morte. Bellanova infatti contribuì con la sua consulenza per il mio lavoro su Servadio. Così mi affidarono Servadio, che io non conoscevo, ma col quale entrai in contatto attraverso la dottoressa Renata Thiele – moglie di Stefano Rolando – che era un’allieva di Servadio. Continua a leggere…

Alla ricerca delle radici psicoanalitiche del Cinema Italiano d’Autore Incontro con lo scrittore e regista Fabio Carpi: Parliamo tanto (psicoanaliticamente) di lui.

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 8, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2009 – Estratto

Amedeo Caruso: Come ben sai, essendo Tu il Nume Tutelare e l’Alleato Principe della mia impresa, sono alla ricerca delle radici psicoanalitiche del cinema Italiano d’Autore. Ho infatti incontrato Vittorio De Seta e Nelo Risi solo grazie al Tuo aiuto. E infatti Tu hai messo lo zampino, collaborando alle sceneggiature di entrambe le opere strettamente psicoanalitiche dei Tuoi amici, “Un uomo a metà” del primo e “Diario di una schizofrenica” del secondo. Il primo è del 1966, il secondo del ’68. Dunque i tuoi interessi di intellettuale cinematografico nei confronti della psicoanalisi sia junghiana che freudiana risalgono a circa venti anni prima la realizzazione di “Cesare Musatti Matematico Veneziano” dell’85 e “Barbablù, Barbablù” che è del 1987, giusto?

Fabio Carpi: Devo fare una piccola precisazione. Il mio contributo a “Un uomo a metà” di Vittorio De Seta è stato di carattere molto particolare e non ha minimamente influito sull’ideazione e i contenuti del film di cui Vitti è l’unico e indiscusso autore. Infatti, anche se il mio nome figura generosamente nei titoli di testa come coautore della sceneggiatura, io sono intervenuto quando il film era stato già, non soltanto interamente girato, ma perfino montato. E poiché la sua lunghezza appariva eccessiva se ben ricordo raggiungeva le tre ore, tale da renderlo difficilmente proiettabile in una sala cinematografica, sono stato chiamato da Vitti per aiutarlo a riorganizzare i materiali operando tagli radicali, alleggerimenti all’interno delle scene, e spostamenti di intere sequenze, per renderlo più facilmente leggibile e consono alle esigenze di una distribuzione. Il mio contributo è stato quindi di natura esclusivamente tecnica e professionale, tanto più che i miei cosidetti interessi psicoanalitici non comportavano familiarità alcuna con il mondo di Jung. Diversa è stata la collaborazione a “Diario di una schizofrenica” di Nelo Risi, che iniziò quando Nelo mi fece leggere due libri di Madame Séchehaye, entrambi pubblicati dalle Presses universitaires de France, il “Journal d’une shizophrène “appunto, e un testo di natura scientifica sulla realizzazione simbolica. Il lavoro fu lungo e faticoso, fianco a fianco, per vari mesi, e alla fine comportò anche una visita di qualche giorno a Madame Séchehaye a Ginevra per sottoporle la prima versione della sceneggiatura e correggere con lei i nostri eventuali errori. L’incontro con Madame Séchehaye è stato per me di grande importanza, e conservo ancora una bella fotografia che la ritrae insieme a Mademoiselle Dűss la quale, come scoprimmo in seguito, non era altri che la schizofrenica guarita. I miei interessi per la psicoanalisi risalgono però a molti anni prima, all’immediato dopoguerra, quando Umberto Saba, grande poeta e inguaribile nevrotico saltuariamente in cura, che aveva appena pubblicato (o stava per pubblicare?) “Scorciatoie e raccontini”, frequentava regolarmente la nostra casa a Milano, o per meglio dire la mia stanza. Inoltre, in quel periodo, viveva con noi anche il marito di una mia sorella, Gaddo Treves, psichiatra, e in seguito psicoanalista di matrice freudiana. In tempi successivi mi appassionarono due altri testi stampati dalle Presses universitaires, uno di Gérmaine Gueux sulla nevrosi d’abbandono, e un altro dell’americano Rosen per la sua insolita tecnica che comportava anche una specie di spettacolare lotta terapeutica con l’analizzato. E ancora voglio ricordare fra i miei autori preferiti Norman O. Brown e Georg Groddeck. Continua a leggere…

Alla ricerca delle radici psicoanalitiche del cinema italiano d’Autore Incontro con Nelo Risi, un poeta cineasta sensibile a Psiche

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 7, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2008

Amedeo Caruso: Il film che naturalmente interessa subito noi psicoanalisti è Diario di una schizofrenica. Cominciamo da qui?

Nelo Risi: Ho trovato in una libreria francese il libro della Sechehaye e ne ho parlato con Fabio Carpi. Ecco qui il nostro soggetto, gli ho detto; lui è stato d’accordo e siamo andati a trovarla. Ne abbiamo parlato anche con la Casa Editrice che lo pubblicava, la Presse Universitaire per concordare i costi. Erano tempi in cui questi film si potevano fare con due lire, in più era un film “quasi” analitico e onestamente non aveva nessuna possibilità di smercio. Invece è andato benissimo. Continua a leggere…

Intervista a Umberto Galimberti – Operazione Tuono-Ga

in Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura, 6, Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2008

Amedeo Caruso: Professor Galimberti, grazie per aver accettato l’invito del Centro Studi di Psicologia e Letteratura fondato da Aldo Carotenuto. Noi siamo lieti di ospitarLa anche per via video al nostro Convegno che, come sa, si intitola Dalla Maieutica al Transfert. Consulenza filosofica e psicoterapia a confronto. È stato proprio Lei a portare la consulenza filosofica in Italia, vero?

Umberto Galimberti: Sì. Sono stato io perché ho avuto l’impressione che la psicoanalisi perdesse un po’ i colpi. Le ragioni per cui li perde sono che la psicoanalisi è un grandioso sistema fondato sulla metafora della sessualità. Ma ora la metafora della sessualità ha perso potenza perché il sesso non è più un tabù, è diventato pratica abituale. Allora bisogna organizzare altri tipi di scenari che non siano rigorosamente riferiti a quelle due pulsioni della specie che per Freud costituiscono la base dell’inconscio: sessualità per la riproduzione e aggressività per la difesa della prole. Credo che attualmente le forme del disagio siano cambiate. Siamo passati da una società della disciplina, dove il conflitto era tra permesso-proibito, a una società dell’efficienza dove il conflitto è tra ce la faccio-non ce la faccio a raggiungere gli obiettivi che mediamente mi si pongono, sia a livello personale che a livello di apparati. Allora, in un contesto di questo genere, la stessa depressione ha cambiato forma: non è più organizzata su un complesso di colpa, ma su una sensazione di inadeguatezza. Questo perché la nostra società diviene sempre più americana, perché le nostre prestazioni devono essere sempre al massimo livello, perché tutti gli apparati tecnici alzano ogni anno l’asticella. E in questo contesto lavorare con apparati psicoanalitici che fanno riferimento a sessualità, aggressività e a divieti superegoici, potrebbe non essere più così efficace. Il problema sta nel reperire un significato alla propria esistenza a partire da un riconoscimento della propria identità. E questa identità ci viene data dal riconoscimento degli apparati di appartenenza. Se gli apparati di appartenenza ci negano o non ci riconoscono, anche la nostra identità va in frantumi. Di qui tutte le forme del disagio. Questi sono gli effetti dell’età della tecnica. E l’età della tecnica ha determinato degli scenari che la psicoanalisi non aveva previsto. Quindi noi, in qualche modo, dobbiamo incominciare ad aprire un dialogo tra l’apparato psicoanalitico, che è un apparato molto significativo, e la novità tecnologica. Io ipotizzo addirittura un inconscio tecnologico, ma di questo parlerò in seguito. Continua a leggere…

Conversazione con Carlo Lizzani un regista di sinistra che sogna Hitler e Mussolini

da Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura

Lizzani: Devo confessarle che in quel periodo (parliamo del 1942-1943) cominciavo a sognare di diventare un rivoluzionario politico di professione. Ma già nel ‘44-’45, con Roma liberata, e l’attività politica legalizzata, la vicinanza con Berlinguer mi fece capire che non avevo la tempra di tessere quella rete fitta di rapporti e conoscenze, fatta di pazienza che ci vuole per un vero politico.

Caruso: Ho letto infatti che subito dopo la guerra Lei lavorò fianco a fianco con Enrico Berlinguer alla Federazione Giovanile Comunista ma come dice Gualtiero De Santi nella bella biografia a Lei dedicata e pubblicata da Gremese nel 2001 “La strada del rivoluzionario di professione non gli era congeniale, ed in ogni caso non ebbe il sopravvento”. Credo però che la formazione politica Le sia servita come scuola di rigore intellettuale e di onestà formale per il suo cinema, che comincerei a distinguere come psicologico soprattutto rispetto alle immagini, nel senso che la sua capacità di ottenere uno scandaglio profondo del comportamento umano consiste nel mostrare crudamente ciò che gli uomini e le donne fanno, e mi riferisco a film come “Actung banditi”, “L’oro di Roma”, “Il gobbo”, “Kleinhof Hotel”, “Banditi a Milano”, “Svegliati e Uccidi”, “Storie di vita e malavita”, “San Babila ore 20”. Ma torniamo alla Sua biografia.

La mia autobiografia comincia proprio con il sogno in cui mi apparve Hitler. Hitler in realtà lo avevo visto già la prima volta nel 1938 quando mi trovavo tra i giovanissimi avanguardisti che lo salutavano in via IV Novembre a Roma. Ne avevo sentito però l’odore malsano anche a Berlino nel 1947 dove mi trovavo come aiuto regista di Rossellini per “Germania Anno Zero”. Dalle macerie del bunker e della Cancelleria, esalavano ancora miasmi che sapevano di putrefazione, di morte. Il sogno viene a visitarmi nel 1960, o forse era il ‘61. Sto girando un film. Durante la pausa mi accorgo che una delle comparse è proprio lui, Adolf Hitler. Chiedo al maestro d’armi di procurarmi subito una pistola che mi viene fornita. Sono così deciso ad affrontarlo ma mi accorgo di procedere molto lentamente perché in realtà sono diviso interiormente tra due grandi possibilità: diventare un eroe, il giustiziere del secolo che passerà alla storia per aver cancellato dalla faccia della terra l’artefice dell’Olocausto oppure l’artista, l’autore che riesce a farsi raccontare i segreti del Bunker, colui insomma che mette a punto uno scoop mondiale, che gli consente di entrare nel labirinto del cervello del più malefico criminale della storia, intervistandolo in un posto tranquillo. Sono deciso però a spaventarlo, a metterlo in ginocchio e la pistola serve proprio a questo… ma nell’attimo in cui sto per premere il grilletto mi sveglio e resto con una sensazione di amaro e il desiderio di saperne di più. Come ho scritto nella mia biografia, continuo ancora oggi ad interrogarmi sui molteplici significati di quel sogno. Continua a leggere…

Ricordo di Luigi Aurigemma con la sua ultima intervista

da Giornale Storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura

Luigi Aurigemma: Jung non riusciva a formulare bene alla fine della sua vita quello che sapeva della non-morte, della morte totale, cioè l’esperienza dell’eternità…

Amedeo Caruso: Secondo Lei che idea aveva Jung dell’esperienza dell’eternità?

Ripeto, Jung sapeva che esiste una morte non totale.

Mi viene in mente quella poesia di Montale, se la ricorda? (e gliela recito a memoria, è una delle mie preferite: Sono pronto ripeto, ma pronto a che? / Non alla morte cui non credo / né a questo brulichio d’automi che si chiama la vita / L’altra vita è un assurdo / ripeterebbe la sua progenitrice con tutte le sue tare / l’oltrevita è nell’etere che se ne ciba per durare più a lungo nel suo inganno / Essere pronti non vuol dire scegliere / tra due sventure o due venture / oppure tra il tutto e il nulla / È dire io l’ho provato /ecco il velo, se inganna non si lacera).

Più invecchio e più mi sento animato e turbato dal dubbio. Invecchiare bene significa aver capito almeno qualcosa di quello che è stato, ma in questi giorni sono pervaso dal dubbio. È difficile invecchiare quando non si capisce, e pensare di non capire vuol dire non essere capace di tirare le somme di quel che si è vissuto. Invecchiare bene significa conoscere meglio la verità delle cose. Arricchire la conoscenza. Intendo dire la conoscenza della verità non tanto la conoscenza delle cose. Questo significa invecchiare saggiamente, non lasciarsi sfuggire l’essenziale.

Le confesso Professore che mi da un grande conforto ricordare a me stesso la magia imponderabile che usa Jung per descrivere la nostra esistenza: “la vita è un breve intervallo tra due grandi misteri, che poi sono uno soltanto”.

Però perchè lei ha scritto che il tempo della vita è breve?

(È un lapsus, non oso interpretarglielo, ma è chiaro, chiarissimo: si duole del fatto che la vita sia breve… in realtà io ho scritto che “il tempo della morte” è breve… non della vita).

Diciamo che è un modo per familiarizzare con il concetto della morte. Non vorrei parlare soltanto per bocca di altri ma Bataille lo ha scritto in modo sconvolgente: l’unico modo per familiarizzare con l’idea della morte è quello di collegarla a un’idea libertina. È un po’ quello che lei dice quando invita a “lasciar respirare il diavolo”.

Sono contento che lei ricordi e tenga presente questa mia espressione, è proprio quello che ci vuole, per noi umani, lasciar respirare il diavolo in noi.

Abstract

Questa intervista ha avuto luogo il 29 luglio 2007 a Parigi. L’autore ha conversato con il famoso curatore dell’Opera Omnia di Jung in Italia nonché autore de “Il Segno Zodiacale dello Scorpione” e di “Prospettive Junghiane”. In questo dialogo vengono toccati i temi della psicoterapia, della vecchiaia e della morte e rievocati gli anni della formazione di Luigi Aurigemma che è morto meno di tre settimane dopo a Parigi. L’intervista si trasforma così in un ricordo-testamento di questo eminente psicoanalista e storico vissuto nella capitale francese per oltre cinquant’anni senza rinunciare alla cittadinanza italiana.