L’insostenibile leggerezza dell’essere… anziani

In questi giorni stiamo pian piano emergendo da una situazione difficile, che ha coinvolto tutti nell’isolamento e che ha avuto particolari ripercussioni sui soggetti anziani, che soffrono spesso di solitudine già in condizioni di normalità. In alcuni casi, come mi capita di sentire con piacere in ambulatorio geriatrico, l’isolamento è stato anche occasione di riavvicinamento da parte dei figli nei confronti di genitori particolarmente bisognosi di cure. Quel che è certo è che la pandemia che stiamo auspicabilmente sorpassando ha riportato in qualche modo in primo piano l’età senile, con le sue fragilità ma anche con certi punti di forza. Una patologia contagiosa che ha minacciato di sottrarci tanti dei nostri anziani ne ha rimesso in giusta luce l’importanza affettiva ma anche il ruolo sociale; ha aiutato a mettere da parte l’idea erronea che l’anziano sia soltanto un peso ed a metterne in risalto le potenzialità. E’ insomma giunto il momento ideale per rispolverare qualche buon libro sull’anziano e per rivedere qualche bel film sulla terza età. Iniziamo dai libri. Prendiamo innanzitutto i classici De Senectute, da quello ciceroniano a quello di Norberto Bobbio. L’opera ciceroniana è un vero arsenale di riflessioni, frasi ad effetto e possibili citazioni ma quella che mi è rimasta maggiormente in mente è la constatazione che tutti vorrebbero giungere alla terza età ma poi si lamentano una volta che ci sono arrivati. Mi sembra un saggio invito ad accogliere con maggiori speranze e miglior intenzione “l’ultimo atto della commedia”. Il disincantato libro del filosofo torinese dà invece un ritratto toccante, realistico ed appassionato non soltanto della vecchiezza ma della condizione umana e del senso della vita. Si tratta di un libro a tratti aspro, perfino polemico. Per me che lo leggo da giovane specializzando di Geriatria è soprattutto un insegnamento di umiltà ed un monito a non oltrepassare i limiti imposti dal rispetto per la persona umana. “Chi vive in mezzo ai vecchi, dice Bobbio, sa per quanti di loro la tarda età è diventata, anche grazie ai progressi della medicina, che spesso non tanto ti fa vivere quanto ti impedisce di morire, puramente una lunga e sospirata attesa della morte”. Egli taccia la Geriatria di essere una “gaia scienza” che, sia pure in modo involontario e con le migliori intenzioni, maschera i malanni dell’età senile. Un monito che, mi pare, vada colto per chiunque eserciti la medicina ed abbia a che fare con persone anziane: non soltanto la durata della vita ha importanza, occorre dare valore anche alla qualità della stessa. Chi sia in cerca di qualcosa di più divertente, poi, può leggere l’elogio della calvizie di Sinesio di Cirene, dove si sostiene con ottime argomentazioni che la calvizie è ciò che avvicina l’uomo al divino, è il fine ultimo cui tende la natura, è sinonimo di saggezza, integrità, salute. I chiomati, come i celti della Gallia comata, sono barbari, effeminati, adulteri, ignoranti e non potranno mai essere grandi uomini. Per gli inguaribili romantici, poi, consiglio “Il vecchio che leggeva i romanzi d’amore”, del compianto Luis Sepúlveda, deceduto purtroppo proprio a causa dell’infezione da SARS CoV 2. La cosa che rende per me memorabile questo libro è che la sua lettura vi viene indicata come “l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia”. Quale miglior consiglio per lettori compulsivi e non? I primi, ma anche gli altri, potrebbero recuperare la lettura delle poesie di un altro vecchio poeta cileno, irresistibili per intensità e bellezza. Sto parlando, naturalmente, di uno dei più grandi scrittori di poesie d’amore mai vissuto: Pablo Neruda, protagonista anche dell’ultimo e più emozionante film con l’indimenticabile Massimo Troisi, il postino, tratto dal bel romanzo di un altro scrittore Cileno (anche questo vale la pena di leggerlo), Antonio Skàrmeta. Il film, con Philippe Noiret nella parte del sommo Poeta sudamericano, ha insegnato al mondo che “la poesia non è di chi la fa ma di chi gli serve”. E che ad ognuno, nella vita, serve un poco di poesia. Il rapporto tra artisti e vecchiaia non deve sembrare forzoso, non lo è affatto. Sentite cosa scrive il pittore giapponese Hokusai a tal proposito: “Dall’età di sei anni avevo la mania di disegnare la forma delle cose. Quando ne ebbi cinquanta, avevo pubblicato un’infinità di disegni; ma tutto ciò che ho prodotto prima dell’età di settant’anni non è degno di considerazione. A settantatre anni ho imparato qualcosa circa la struttura reale della natura, degli animali, delle piante, degli uccelli, dei pesci e degli insetti. Di conseguenza, a ottant’anni, avrò fatto ancora progressi; a novanta potrò penetrare il mistero delle cose; a cento certamente avrò raggiunto una fase stupenda; e quando ne avrò centodieci tutto ciò che farò, sia un punto che una linea, sarà vivo. Scritto all’età di settantacinque anni da me, già Hokusai, oggi Gwakio Rojin, il vecchio che va pazzo per la pittura”. La storia è citata assai a proposito in un bellissimo libro dello psicoanalista Erich Fromm, il quale soggiunge: “Frequentemente possiamo osservare persone, specialmente nella situazione dell’analisi, ossessionate dal timore della vecchiaia, mentre sono ancora giovani; esse sono persuase che lo svanire dell’energia fisica si leghi all’indebolimento della loro personalità totale, dei loro poteri emotivi ed intellettivi. Tale idea è poco più che una superstizione, e persiste malgrado l’evidenza schiacciante dell’opposto. Essa è fomentata, nella nostra cultura, dall’accentuazione delle cosiddette qualità giovanili, come la rapidità, l’adattamento ed il vigore fisico, che sono appunto le qualità di cui si ha bisogno in un mondo orientato primariamente verso il successo competitivo, piuttosto che verso lo sviluppo del carattere. Ma molti sono gli esempi a dimostrare come la persona che viva produttivamente prima di invecchiare, non si deteriori affatto; all’opposto, le qualità mentali ed emotive che ha sviluppato nel processo del vivere produttivo continuano a crescere, anche se svanisce il vigore fisico”. Ma chi ancora non fosse convinto del rapporto che intercorre tra età senile e creatività ascolti quanto scrive Rainer Maria Rilke nel suo libro “Su Rodin”. Rilke immagina una conversazione tra Sebastian Melmoth (pseudonimo di Oscar Wilde) e lo scultore francese stimolata dalla visione da parte di Melmoth della “Porte de l’Enfer”. Rilke immagina che, se fosse stato possibile, Melmoth/Wilde avrebbe voluto chiedere a Rodin: “Ma Lei è mai stato giovane? Ero uno dei tanti. Quando si è giovani non si capisce nulla; si comincia a capire più tardi, lentamente”. Evidentemente al grande poeta boemo deve essere sembrato preponderante, nella figura del fine modellatore della pietra, il bagaglio di esperienze acquisito con l’età matura. Parliamo di artisti, e per gli artisti la creatività è la norma. Ma, potremmo chiederci con Jung: “che cosa può creare un uomo se non gli è toccato di essere un poeta?. “Se non hai proprio nulla da creare, allora forse crei te stesso”. La vecchiaia e l’esperienza delle cose della vita, quindi, aiutano anche la creatività psicologica, ovvero quella che Hillman chiamerebbe “fare anima”, generare anima in noi. Frequentare l’arte aiuta certamente in questo percorso, e forse più del resto aiuta la settima arte, ovvero il cinema. I film sulla terza età sono tantissimi e scoprono davvero ogni possibilità. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Un bel film datato che tratta dell’invecchiamento vissuto come dramma personale è Viale del tramonto, con William Holden e Gloria Swanson, per la regia di Billy Wilder. Parla di una stagionata diva del cinema muto, Nora Desmond, che vive ormai nel culto del proprio glorioso passato e nutre la speranza di poter tornare alla ribalta. Ma le luci della ribalta si riaccenderanno in maniera fatua e drammatica per un attimo soltanto sulla sua figura, che finirà indelebilmente macchiata da un delitto atroce e dilaniata dalla pazzia. A proposito di luci della ribalta, come non citare il meraviglioso film omonimo dell’ormai anziano Charlie Chaplin? E’ il primo film non muto che Chaplin abbia fatto e la bellezza dei dialoghi è tale da far quasi – dico quasi – rimpiangerne l’assenza in altre pellicole del genio della comicità. Peraltro, è l’unico film nel quale accanto a Chaplin compare anche quello che è stato il suo grande antagonista e l’altra grande star del cinema muto, Buster Keaton. Anche soltanto la presenza di questi due grandissimi personaggi uno accanto all’altro varrebbe la visione del film. La trama è stupenda: Calvero, un tempo affermato artista comico ed ora attempato alcolista, salva una giovane ballerina da un tentativo di suicidio. Diventerà il suo mentore, insegnerà a lei – ed a noi – che “La vita è meravigliosa, se non se ne ha paura”, e che “è una bella, magnifica cosa, anche per una medusa”. Il vecchio, in questo film, salva la giovane donna dall’isteria e dall’immobilismo (anche letterale, la ballerina ha una paralisi agli arti inferiori su base isterica). Quale metafora più efficace per ricordarci il ruolo dell’anziano nella società?

Ma ancora, per gli amanti delle commedie agrodolci, consiglio la visione del film “Harry e Tonto”, di Paul Mazursky. Questo film vi farà innamorare per i toni soavi, leggeri e delicati con i quali dipinge la figura di Harry Coombes, interpretato da Art Carney, anziano vedovo che viene sfrattato dal proprio appartamento perché lì si dovrà costruire un parcheggio. Decide così di viaggiare attraverso l’America insieme al proprio vecchio gatto, Tonto. Con il piccolo animale passeranno traversie di ogni tipo, vivranno avventure divertenti e talvolta avvenimenti tristi. Il film si chiude con un tramonto che lascia dolcemente presagire la fine della vita di Harry ma suggerisce anche che presto sorgerà di nuovo il sole.

Ancora Art Carney è uno dei protagonisti di un film del 1979, scritto e diretto da Martin Brest, Vivere alla grande. Si tratta di un film divertentissimo, nel quale tre anziani, Al, Willi e Joe, sono alle prese nientemeno che con una rapina in banca. Il colpo inopinatamente riesce, anche se con conseguenze inaspettate. La pellicola ha avuto anche un recente remake, “Insospettabili sospetti”, del 2017, diretto da Zach Braff e con protagonisti Morgan Freeman, Michael Caine e Alan Arkin. Bisogna riconoscere che, contrariamente alle aspettative (in generale i remake non sempre riescono convincenti) il risultato è davvero gradevole. E’ forse merito dell’ottimo cast, forse anche del giovane ma intraprendente regista: il film riprende la trama del precedente senza essere banale, diverte e non esce mai dai binari di una satira leggera e beneducata della società che non è disposta pacificamente ad ammettere come sia “un dovere civile prendersi cura delle persone anziane”.

A proposito di questo, sarà bene citare le cronache terrestri di Dino Buzzati, dove si legge “Raccontano che nell’antica Cina la vecchiaia fosse il paradiso della vita, tanta era la venerazione per coloro che, avendo percorso l’intera tappa, si avvicinavano al grande esame. Oh, se gli uomini fossero più furbi, se pensassero al loro vero vantaggio anziché alle più inutili idiozie, essi offrirebbero ai vecchi i beni più preziosi della terra.

Dico a voi, giovani presuntuosi che vi illudete di essere i soli a capire i problemi del mondo e che i vostri padri siano una massa di cretini. Un giorno, pensateci, essi erano esattamente come voi, avevano i vostri stessi muscoli, se non di più, il vostro passo atletico, le vostre speranze, avevano anche loro i riccioli biondi. Ora sono diventati curvi, fragili, calvi, ma la differenza è ben poca, cari miei, trenta o cinquant’anni soltanto, un respiro, un niente!

Non dimenticatelo, quando vi passa vicino il nonno col bastoncello. Guardatelo con attenzione piuttosto; egli è il vostro ritratto. Domani, dopodomani, prima che abbiate fatto in tempo a prendere le misure, voi uscirete a piccoli passettini come lui”.

Godetevi, dunque, l’età che state vivendo!